La resurrezione: ci crediamo davvero?

La notte di Pasqua si celebra la resurrezione di Gesù che risorge a nuova vita ed allora è festa grande. Non solo per l’amore che verso Gesù naturalmente sentiamo, ma perché in quella rinascita c’è sottintesa una promessa: come Lui, anche noi vinceremo la morte, anche a noi sarà data una vita nuova.
Tutto bello, però viene da porsi una domanda: ma noi ci crediamo davvero alla resurrezione?

caravaggioLa prima risposta che mi sono dato è che paradossalmente, fra tutti i credenti, noi cristiani siamo quelli che hanno più paura della morte. Eppure durante la Messa recitando il credo dichiariamo: “Credo nella resurrezione dei morti e alla vita del mondo che verrà”.
Akira Kurosawa, nel suo film “Sogni”, fa intraprendere ad un giornalista un viaggio allegorico attorno alla terra, durante il quale incontra metaforicamente i mali che l’affliggono: inquinamento, bomba atomica ecc. Alla fine del viaggio arriva nel “Villaggio dei Mulini”, quello che noi cristiani chiamiamo paradiso terrestre, ma che non saremmo capaci di abitare più di una settimana.
Si avvicina ad un uomo anziano che sta lavorando dei giunchi e gli chiede come fanno a vivere senza elettricità e senza tecnologie. Mentre ascolta la risposta del vecchio, da lontano ode dei suoni e chiede se per caso c’è una festa, ma il vecchio risponde: “No, sta arrivando un corteo funebre. Veda, da noi se muore un anziano si canta e si fa festa per ringraziarlo per tutto quello ha fatto nella sua vita. Certamente se muore un bambino o un giovane il discorso è diverso”.

Possibile che noi cristiani dobbiamo imparare dagli altri a come affrontare la morte? Eppure adoriamo un Dio che ha vinto la morte. Il problema è se ci crediamo o ci speriamo ancora.
La nostra fede cristiana ci permette di affrontare il problema della morte senza dover ricorrere a gesti scaramantici (i maschi cattolici ne sanno qualcosa) o ad oggetti per esorcizzarla. Stranamente le carrellate d’immagini colorate di morte che la TV ci sbatte in faccia – magari mentre stiamo pranzando – ci rendono più indifferenti attivando quella “rimozione” ( frutto dell’assuefazione) che ci permette di stare in pace con noi stessi.
L’uomo, invece di arrampicarsi sugli specchi per allungare il più possibile la vita naturale farebbe meglio a sfruttare le sue risorse per permettere a tutti di viverla in maniera più dignitosa possibile. Più che della morte fisica dobbiamo avere paura della morte del cuore e dello spirito.

Si muore giorno per giorno nella solitudine, nell’incomunicabilità, nella sfiducia, nell’angoscia, nella tristezza e nella depressione, eppure non ce ne accorgiamo. Si muore quando si erigono steccati, barriere e muraglie, oppure quando si esalta una determinata razza o si sfrutta una religione per fini strettamente politici.
L’uomo muore ogni volta che, preso dalla disperazione, perde ogni speranza.
L’uomo muore tutte le volte che dimenticando il Dio della vita cerca di percorrere sentieri sul cui sfondo si intravede solo il nulla.

Giuseppe Compagno


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