I miei primi nove mesi (dentro il grembo materno)

Maceravo dall’invidia per il libro scritto da Marina Ripa di Meana sui suoi primi quarant’anni e finalmente ho deciso di imitarla ma soffermandomi sui miei primi nove mesi. Li ho trascorsi alla Kalsa, a Palermo: ero dentro il grembo di mia madre.

La prima cosa che ho capito è stata una gradita (o sgradita) sorpresa: lì dentro non ero solo, c’era un’altra inquilina avvolta dentro la placenta. Dopo la prima presentazione decidemmo di mettere in pratica le prime nozioni del vivere civile iniziando con la pratica dell’accaparramento: “questo è mio”, “no questo è mio”. Dopo le prime lotte per la sopravvivenza decidemmo di trovare un compromesso (quello che ancora non riescono a trovare i palestinesi con gli israeliani).
Io avrei mangiato quello che arrivava dal pranzo e lei quello che arrivava dalla cena. Capirete che nel 1958, per la moglie di un portuale la vita non era tutta rose e fiori e l’alimentazione di allora manterrebbe in linea una donna di oggi che ha deciso di mettersi a dieta.
Mia sorella ad un certo punto capì che le cose per lei si mettevano male: “vuoi vedere che il mio caro fratello, con la sua teoria sull’inferiorità della donna stia facendo di me un’anoressica pronta a sfilare per Armani?” Allora decise di farsi sentire e mi disse che il piattone di pasta con le lenticchie se lo pappava lei e che mi avrebbe ceduto volentieri le delizie a base di pane e pomodoro della cena. Malgrado certe teorie sull’evoluzione che indicavano nella donna un essere debole e arrendevole decisi di abdicare. Il mio peso cominciò a diminuire notevolmente, mentre mia sorella cominciava sempre più ad assomigliare ad un pesce palla (da lì è nata la mia passione per il calcio).

Crescendo cominciarono i primi problemi relativi alla privacy. Ognuno voleva più spazi e difendeva a calci il proprio territorio: se faceva la doccia pretendeva che io mi girassi; per dormire pretendeva sempre di stare sopra (più vicini alla laringe) perché sotto si sentiva mancare l’aria e cose così.
Insomma la vita era dura e cominciavo ad invidiare i concepimenti di single: più spazio, più autonomia e più libertà. I mesi passavano e gli spazi si restringevano ulteriormente quando finalmente arrivò il fatidico 3 Marzo del 1959.
Cavallerescamente la invitai ad uscire per prima ma lei non ne voleva proprio sapere: voleva sapere da me se era stata già redatta la carta dei diritti del bambino, se già esistevano incubatrici con aria condizionata, se si praticava l’infibulazione, se era in voga il burqa, se esistevano già i talebani, se era stata raggiunta la parità tra i sessi e se a undici anni poteva mettere il piercing al naso ed andare alla Crocicchia con le compagne. Alla fine mandò me ad esplorare.

Affacciandomi vidi un viso bruttissimo (non mi ricordo se era Tina Pica travestita da ostetrica o se era l’ostetrica che le assomigliava) e dissi tra me che se le donne erano tutte così sarebbe stato meglio starsene dentro, ma fortunatamente girando lo sguardo vidi mia madre e mi rassicurai. Subito le chiesi come si stava in questo mondo e mi rispose che in quel periodo a causa dei missili Russi dislocati a Cuba e puntati verso gli USA si stava rischiando la guerra nucleare e che per il resto andava discretamente. “Cominciamo bene”, dissi tra me.

A questo punto per rassicurami un po’ le chiesi che lavoro faceva mio padre e se era in grado di poterci sostenere. Mia madre mi disse che mio padre lavorava al porto, che ancora non si parlava della crisi della Tirrenia e che fino ad ora era stato in grado di sfamare gli altri tre figli e che avrebbe fatto lo stesso con noi due. Capii che (malgrado tutto) era meglio uscire fuori e rientrando raccontai a mia sorella che l’ostetrico era un certo Marcello Mastroianni, di un mondo in cui regnava la pace, di un padre avvocato e di una madre che mi avrebbe assicurato che eravamo gli unici figli e che non intendeva farne altri. Mia sorella tentennò e mi fece l’ultima domanda: “e Berlusconi?”. “Non ti preoccupare – risposi – in questo momento si esibisce in crociera con gli amici dell’Utri e Mangano ed è accompagnato da un bambino che suona la chitarra, un certo Apicella. A questo punto anche lei decise di uscire e da quel giorno sono diventato (forse) un palermitano libero.

Giuseppe Compagno

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