Chi erano i Re Magi?

I Magi, non sono re, non sono tre e non si chiamano Gasparre, Melchiorre e Baldassarre: tutti questi dati risalgono al VI secolo, secondo la tradizione popolare che ha attinto abbondantemente alla letteratura cristiana apocrifa.

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I magi, secondo Matteo (che è l’unico a parlarne!) sono dei sapienti orientali, dei sacerdoti Zoroastriani della Persia o degli astrologi, o forse addirittura quella categoria di persone che esercitano arti magiche proibite dalla legge. Ciarlatani o sacerdoti di divinità straniere sono comunque pagani, cioè coloro che per definizione sono lontani dal Dio di Israele. E tuttavia proprio a loro appare “la stella”  che li guida alla ricerca del vero Re del mondo. E loro umilmente lo hanno saputo riconoscere al di fuori delle categorie religiose o reali dell’epoca in quel bambino povero e fragile che li accoglie insieme alla madre. E lo adorano, cioè lo accettano come personale salvatore.

In fondo i Magi ci rappresentano in pieno e forse anche per questo sono a noi così cari e simpatici così come lo sono stati sin dagli inizi del cristianesimo.
Cosa rappresentano dunque questi personaggi fantastici che da lontano vanno a rendere un tributo d’onore al neonato Gesù? E cosa voleva insegnarci Matteo, l’unico ad avere costruito questo evento teologico fantastico?
Alcune cose vanno chiarite se vogliamo comprenderne il senso ed il significato di questa visita che viene giustamente etichettata come Epifania, cioè manifestazione (della divinità) ai gentili.

Innanzitutto, per non incorrere in visioni ingenue e popolari da “presepe”, bisogna tenere presente che l’episodio della visita dei Magi va inquadrato in una cornice teologica e ben poco può essere riconosciuto di storicamente accertabile: né il tempo della nascita di Gesù (al tempo di Erode), né il luogo della nascita (Betlemme) né tanto meno la fantastica vicenda della visita a Erode, con la stella, i doni e la strage degli innocenti. Dunque è inutile ricercare fantomatiche congiunzioni astrali e passaggi di comete che possano indicare il periodo esatto della nascita del Signore.

La narrazione di questi episodi, come riconosciuto dagli studi recenti, rappresenta una antologia di testi biblici e rabbinici in cui si individuano facilmente eventi e personaggi della storia antica di Israele, raccolti con l’intento di dimostrare che Gesù è il Messia di cui si era profetizzato e nella fattispecie si vuole giustificare teologicamente la chiamata dei gentili alla fede.

Ma c’è di più. Una vena polemica verso il mondo religioso giudaico e verso la stessa Gerusalemme si legge tra le righe del racconto. Perché il Messia tanto atteso come liberatore di Israele viene presentato in primo luogo a questi personaggi pagani! Gerusalemme, i sacerdoti, gli scribi che sarebbe stati legittimati a ricevere l’annuncio, invece non accolgono Gesù, anzi se ne spaventano a sapere che l’evento è accaduto. E, senti senti, il Messia non è nemmeno nato a Gerusalemme ma in uno sperduto e piccolo insignificante villaggio.

Non dobbiamo dimenticare che il vangelo secondo Matteo è rivolto principalmente ad una comunità di Giudei convertiti al Cristianesimo i quali dovevano “digerire” questa nuova visione di universalità del messaggio di salvezza. E che dunque l’arrivo di Gesù era “scritto” già nei profeti dell’Antico Testamento e anche che sarebbe stato accolto da tutto il mondo.
Il testo di Matteo attinge abbondantemente al capitolo 60 del libro si Isaia. Troviamo i riferimenti alla luce che brilla dall’alto, ai visitatori dall’oriente che recheranno doni, ai re della terra che si prostreranno al Re dei re.
Così i Magi, che la tradizione popolare ha fatto diventare Re Magi, vengono dall’Oriente secondo le antiche profezie; seguono la stella che sorge in Israele per regnare (Nm 24,17); la luce che allude a quella che secondo la tradizione popolare aveva inondato la casa di Mosè; gli recano in dono oro, incenso e mirra che sono i simboli messianici anche secondo la lettura cristiana:
L’oro è simbolo di regalità ed, offerto a Gesù che è stato presentato come il re, sta a significare che Gesù non è solo re dei giudei ma anche dei pagani. Quella che era una prerogativa esclusiva del popolo di Israele, quella di essere il regno di Dio, si estende con l’offerta dell’oro da parte dei pagani a Gesù anche a tutta l’umanità.

L’incenso è il simbolo del sacerdozio. Privilegio esclusivo dei sacerdoti del tempio che lo usavano nei riti sacrificali o come richiesta di protezione, adesso viene esteso a tutto il mondo. Il significato è preciso: Gesù è “il Dio con noi” e per accedere a Lui non è più necessaria la mediazione sacerdotale.
La mirra è un unguento ed un profumo. La sposa si ungeva di questo profumo quando doveva incontrare il re e ne ungeva anche il letto coniugale. Ora mentre Israele si considerava come la sposa del Signore, Matteo estende questo privilegio a tutti, a partire dai pagani. L’amore di Dio è per tutti e non ci sono privilegi o caste o raccomandazioni territoriali o di campanile. Un messaggio davvero straordinario.

Gesù è la luce che viene nel mondo, è colui che incarna le aspettative messianiche, colui che viene a liberare Israele dal giogo del peccato, ma è colui che manifesterà la sua gloria al mondo intero perché da adesso la salvezza è aperta a tutti gli uomini e tutti gli uomini potranno accoglierla, andando incontro a Gesù, seguendo la sua luce e adorandolo come il proprio Re e Signore.

Saverio Schirò

Fonti: A. Lancellotti, Matteo in Nuovissima Versione della Bibbia, Paoline Roma 1978;
A.G. Martimort, La chiesa in preghiera, IV La liturgia e il tempo, Queriniana, Brescia 1984;
A. Salas, Catechismo Biblico, Dehoniane, Napoli, 1984;
A. Maggi, I Vangeli dell’Infanzia, Incontro Biblico, Rovigo 2003.

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Saverio Schirò
Amministratore del Sito. Appassionato di Spiritualità e Teologia

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