Capo d’accusa? Un perizoma in pizzo!

Perché in alcuni casi è proprio questo che può accadere. Che un imputato venga dichiarato innocente e che la responsabilità di un reato per stupro venga invertita.
È quello a cui si è assistito in una città irlandese, appena qualche giorno fa. Un uomo di 27 anni, che era stato accusato per un abuso nei confronti di una ragazza di 17, è stato assolto. La motivazione del verdetto, è stata che l’uomo avrebbe agito in tal modo, perché in un certo senso istigato dalla ragazza. Del resto, come è stato detto, lei indossava biancheria intima “troppo sexy”.
E’ bastato che l’avvocato difensore, peraltro una donna, mostrasse in aula un inequivocabile indumento come “prova utile” a far apparire la vittima come unica colpevole. La sentenza parla chiaro. Ciò che ha portato l’uomo a commettere il fatto non è imputabile ad un atto di violenza “intenzionale” nei confronti della donna e quindi, mi verrebbe da dire, non dipende minimamente da lui.
Nella sostanza, l’uomo avrebbe solo riposto ad una malcelata provocazione da parte della ragazza che, con quell’abbigliamento, non avrebbe potuto aspettarsi un comportamento differente. Il Lui in questione, che è “Uomo” non avrebbe di certo potuto tirarsi indietro senza assecondare gli istinti di cui madre natura ha provveduto a dotarlo. È il classico e purtroppo sempre attuale “Se l’è cercata”, lo stereotipo comune parecchio lento a dissolversi e che ancora oggi, in alcune mentalità, è rimasto immutato nel tempo.
Ovviamente questo è solo uno dei tanti casi che entrano in contrasto con il tentativo di consolidare i diritti femminili a cui, giorno dopo giorno e sempre più a fatica, si cerca di dare credito. Resta inteso comunque che, in circostanze come questa e al di là di ogni pregiudizio, si capisce chiaramente che si tratta di discriminazioni  ovvie per le quali non è  difficile stabilire dove si trovi la realtà. Ma quando l’offesa minaccia la psiche della donna, mi chiedo come si possa uscirne moralmente integre al cospetto del giudizio dei tanti ed anche di se stesse?
Eppure la legge esprime chiaramente cosa significhi l’espressione “violenza contro le donne”: È ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata. 

Già, perché è facile, come spesso avviene,  cercare di negare un’evidenza reale. A volte si verificano situazioni nelle quali alcuni comportamenti si fanno strada, a piccoli passi, in maniera subdola e silenziosa. Nessuna reale limitazione, neppure una chiara richiesta o costrizione. Concessioni che si muovono su un filo sottile e che almeno apparentemente si mostrano come delle scelte intraprese liberamente agli occhi dei molti e per le quali quindi sarebbe molto difficile darne una spiegazione.
Se solo l’uomo riuscisse a guardare oltre le proprie comode considerazioni!
A volte si crede che basti togliere un abito ad una donna per poter dire di averla conosciuta, di averla vista nuda, di essere entrato in intimità con lei.
Per fortuna però non tutti gli uomini sono così, non tutti seguono questo pensiero. Ed io ci credo ancora. Credo all’uomo capace di denudare una donna senza neanche toglierle un solo indumento di dosso. Ammirarla, senza per questo  intravedere neanche un angolino del suo corpo. Contemplarla ed avere cura di lei, avendo la personalità di saperla scoprire nella sua vera essenza, lasciando scivolare lentamente qualsiasi sua resistenza.
Ci sono intimità che scendono più in profondità dello spessore dei vestiti, che lasciano vedere più a fondo di ogni nudità e che si spingono anche  oltre il contatto della stessa pelle. Basterebbe fermarsi ad osservare un po’ più a lungo dentro gli occhi di chi incontriamo perché forse, a volte, è dall’altra parte nel nostro “sapere” che può trovarsi la verità.

Tiziana D’Antoni

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