Pregare… come Gesù

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Tra vita e religione, nel nostro mondo moderno, si è creata una frattura completa. Mi spiego:
Viviamo esattamente come tutti gli altri, credenti o meno; abbiamo gli stessi ideali, le stesse aspettative (intramondane), le stesse miserie, limiti, facciamo gli stessi errori. È naturale, direte voi, siamo tutti uomini. E allora dove sta la differenza tra chi dice di credere e chi afferma di non credere? Beh, i cristiani vanno a messa… e qualcuno prega!
Quelli che non frequentano la chiesa (ma si dicono comunque credenti…)  trovano l’andare a messa come qualcosa di inutile, addirittura motivo di rimprovero, per il fatto che spesso la vita di fede di molti praticanti si riduce al culto che si vive la domenica ma poi…. “sono peggio degli altri!” Si dice.
La messa, qualche preghiera la sera e, a volte, il segno della croce prima di prendere i pasti. Questo basta a farci cristiani? Certo è sempre qualcosa, ma non è sufficiente.
Secondo la dottrina della chiesa cattolica dobbiamo rendere culto a Dio tramite la celebrazione della messa domenicale, altrimenti è peccato mortale, poi se per il resto della settimana viviamo esattamente come tutti gli altri, cioè senza alcuna evidente differenza rispetto a chi non crede, beh, non ci fa niente.
Forse avremmo bisogno di pregare di più. Anche perché ascoltare quello che il sacerdote recita sull’altare e  certe volte quasi nessuno capisce, o ripetere meccanicamente le risposte che il rito ci propone, senza consapevolezza, senza intenzione evidente, senza metterci il cuore… forse non è pregare.
Immagino molti che storcono il naso.
Domandiamoci per prima cosa quale è il significato della preghiera.
Ora, senza andare a scomodare i sapientoni delle varie religioni e rimanendo terra terra, penso che potremo definire la preghiera come un modo di rapportarsi a Dio.
Ovviamente questo modo cambia in relazione ad un mucchio di variabili: voglio chiedergli qualcosa? Desidero ringraziarlo per qualcos’altro? Lo voglio lodare perché mi sento grato e felice? Lo voglio rimproverare (con rispetto e devozione comunque) perché mi sento abbandonato? Desidero stare semplicemente alla sua presenza? Ebbene ci sono mille motivi e dunque mille modi per rapportarsi al nostro Creatore e Padre. E fra l’altro, siccome un interlocutore sono io stesso, questa mia unicità complica ulteriormente le cose. E allora come si prega?
Abbiamo un esempio straordinario del modo di pregare: è quello di Gesù Cristo, il nostro unico Maestro: non è per questo che ci chiamiamo cristiani?
Come pregava Gesù?
Scopriamolo dal Vangelo….
Gesù non andava a messa, non c’era infatti alcuna liturgia di questo genere. Il comandamento che riguardava la “santificazione della festa” si riferiva esclusivamente al riposo del sabato e non aveva nulla a che fare con quello che insegniamo noi nella nostra chiesa riguardo la domenica. Gesù non recitava a memoria formule preconfezionate né moltiplicava le parole per comunicare col Padre (raccomandava il contrario a questo proposito).
Andava di sabato nella sinagoga, è vero, ma lì non si facevano rituali di alcun genere, ma semplicemente si ascoltava la Parola di Dio e si imparava il significato. Oggi sarebbe paragonabile alla catechesi o al massimo alla lectio divina.
Quando voleva pregare, cioè entrare in contatto intimo col Padre, allora si ritirava nella montagna, in silenzio e solitudine e lo stesso insegnava a fare: Quando preghi, chiuditi nel segreto della tua stanza e il Padre tuo che vede nel segreto…” Tutt’altro di quello che facciamo noi.
Col passare dei secoli, non abbiamo fatto altro che complicare le cose, rendendole sempre più difficili e sempre meno comprensibili.
Andiamo a messa la domenica, qualcuno “prende” pure la comunione; assistiamo passivamente a un rituale sempre identico al quale prestiamo una attenzione relativa; la predica la preferiamo corta, perché se è lunga (e troppo spesso è lunghissima) ci distraiamo e non capiamo più niente; rispondiamo come obbedienti soldatini alle stimolazioni del sacerdote; ci commuoviamo (perché davvero il momento è intimo) durante la consacrazione; e alla fine siamo contenti perché abbiamo obbedito al precetto della messa. Cosa importa se siamo entrati con le spalle curve e siamo usciti allo stesso identico modo? Cosa importa se soli siamo entrati e soli siamo usciti?
Andiamo presto casa perché c’è un pranzo da preparare e poi, se si è appassionati, la partita di calcio o la Formula 1 alla TV. Tutti a casa a vivere la vita, l’impegno-dovere religioso l’abbiamo assolto.
Ci è stato insegnato, cioè a mettere a posto la coscienza obbedendo al precetto (cioè al comando, pena il peccato mortale!) come se dovessimo parlare con nostro Padre per dovere e non per amore.
Ah, l’amore! Ecco la parolina magica. Ecco il perché dobbiamo pregare e imparare a farlo bene, per imparare ad Amare! Dio innanzitutto e poi noi stessi e altri. Non c’è nessun’altra ragione. Qualcosa va cambiato, ma se non cambiamo noi e il nostro cuore, allora tutto resterà sempre uguale.

Saverio Schirò

 

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Saverio Schirò
Amministratore del Sito. Appassionato di Spiritualità e Teologia

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