Festa di tutti i santi

«Grande è la vostra ricompensa nei cieli»
(Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a)

            Rimango sempre affascinato dal meraviglioso spettacolo che ci presenta il libro delle Rivelazioni, l’Apocalisse, quando ci descive la moltitudine immensa di persone che stanno davanti al trono di Dio in bianche vesti e provengono da ogni nazione, tribù popolo e lingua pronti a rendere gloria a Dio ed all’Agnello che li hanno resi degni di poter stare davanti al trono dell’Altissimo. La veste bianca di cui sono rivestiti è il chiaro segno che essi vivono immersi nella luce di Dio e che sono stati purificati dal sangue dell’Agnello, dopo essere passati attraverso la grande tribolazione. La gloria di cui essi ora godono e la felicità che i loro canti esprimono, sono state conquistate a caro prezzo. Essi, nessuno escluso, sono passati attraverso il crogiolo della persecuzione e dell’avversità ostinata ed accanita dei loro avversari, e si sono mantenuti fedeli fino alla fine, anche a costo della loro stessa vita. Il fatto che, oltre al numero dei salvati d’Israele, c’è una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, è un chiaro messaggio di speranza per tutti i fedeli che si trovavano, e si trovano anche oggi, a vivere in mezzo alle prove e le contraddizioni della vita, per dire che la salvezza e la vita di comunione con Dio è una realtà possibile a tutti.

            La santità non è riservata solo a pochi eletti, ma è possibile a tutti, anzi è la chiamata originaria che Dio ha fatto risuonare fin dal principio nel profondo del cuore di ogni uomo. Essa ci appartiene strutturalmente, è inserita nel nostro DNA profondo, se è vero, come è vero, che ogni uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio.  I santi non sono quindi dei superuomini, delle creature speciali, ma sono uomini come noi, solo che hanno consentito a Dio di operare in loro e di comunicare loro la sua stessa santità. Già l’Antico Testamento si esprime con molta chiarezza al riguardo, quando, nel momento in cui dona i suoi comandamenti, Dio li presenta come una via per vivere la sua stessa santità: “Siate santi, perchè io, il vostro Dio, sono santo“. Lo stesso concetto è espresso con una sorta di meraviglia dall’Apostolo Giovanni, il quale con convinzione afferma, rivolgendosi ai fedeli: «Carissimi, noi fin da ora siamo figli di Dio», ma aggiunge purtroppo che questa realtà che pure ci appartiene rimane come nascosta in noi, ed ha bisogno di essere messa alla luce, di essere manifestata. Per questo Gesù si è incarnato, facendosi uno di noi, rivestendosi della nostra umanità, vivendo la nostra vita, proprio per svelarci come vive il figlio di Dio.

            La meravigliosa pagina del Vangelo di oggi, non è altro che l’indicazione della via da seguire per poter far emergere la nostra profonda identità di figli di Dio. Per questo ci viene proposta con molta autorevolezza, anche nella sua narrazione. Matteo racconta che Gesù, vedendo le folle, sale sul monte. Si tratta certamente di una descrizione di sapore teologico, perchè ci rinvia alla santa montagna, il Sinai, dove Dio rivela la sua gloria e dona al popolo la sua legge, via di vità e di santità. Essa consente al popolo d’Israele di poter identificarsi come popolo di Javhe, proprio perché può rivelare la sua santità vivendo secondo la sua parola. Quante volte non risuonano nei salmi affermazioni di giubilo che proclamano beato il popolo il cui Dio è il Signore, il popolo che segue la legge del Signore e cammina nelle sue vie. Gesù è venuto proprio per far conoscere  e portare a compimento la legge del Signore, vivendola lui stesso ed insegnandola al popolo, e soprattutto ai suoi discepoli. Leggiamo che c’era attorno a Gesù tutta la folla e che si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Quindi Gesù sedette e cominciò ad insegnare. Quello che Lui insegna sul monte costituisce l’essenza del della sua predicazione, l’essenza del suo vangelo e della sua stessa vita.

            Nelle Beatitudini, Gesù ci da il vero volto di se stesso, ci dice in quale spirito vivere per poter somigliare a Lui e vivere la vita dei figli di Dio e non dei figli di questo mondo. Per i figli di questo mondo la beatitudine facilmente si identifica con la ricchezza, con la fama, con il prestigio, con il fascino, con il potere, con una vita comoda e facile, con una vita che in fondo è centrata su se stessi. Gli altri esistono ed hanno importanza nella misura in cui non mi danno fastidio e mi possono essere utili, altrimenti non mi interessano e non contano niente. Soffrono, sono nel bisogno, sono angustiati, abbandonati, esclusi, perseguitati? Non sono affari che mi riguardano. Posso pure dare qualcosa, ma non voglio essere importunato e coinvolto nei problemi degli altri. Per i figli di Dio invece la vita ha un centro propulsore che ha il suo punto di origine in Dio, la sua sicurezza e la sua forza di azione sempre in Dio, la sua meta ultima ancora in Dio. Gli altri mi stanno a cuore, perchè stanno a cuore a Dio ed allora mi preme se soffrono, se sono nel bisogno, mancano di libertà, di rispetto, di mezzi, di dignità, di pace. Come figlio di Dio io mi sento coinvolto con loro e per loro, altrimenti mi sentirei di tradire Dio, che mi affida il fratello e ritiene fatto a Lui stesso quello che io faccio per l’ultimo di essi.

            Se rileggiamo con attenzione le beatitudini, ci rendiamo conto come Gesù ci chiede un capovolgimento totale di valori. Non si tratta di utopia o di poesia che ci può affascinare ed incantare, ma si tratta di un progetto di vita che mira a trasformare il cuore dell’uomo per cominciare a introdurlo nel Regno di Dio, già qui ed ora. Fin dalla prima beatitudine ci viene proposta la povertà di spirito, come via privilegiata per fare scendere il cielo su questa terra. Perché il povero di spirito è colui che fonda la sua vita solo in Dio, accetta di porre in Dio ogni suo bene, fidandosi di Lui. Se andiamo avanti, scopriamo che in fondo si tratta di “rivestirci di Cristo Gesù”, perchè è Lui fondamentalmente, il povero, il mite, il ouro di cuore, colui che ama e cerca la pace, il misericordioso, colui che ha fame e sete di compiere la volontà del Padre, colui che soffre per il male che affligge questo mondo e lo pone vittima della violenza, dell’avidità, dell’ingiustizia o dell’indifferenza, colui che è perseguitato soffre violenza a causa della sua santità. I discepoli sono chiamati a seguire il loro maestro, che ha offerto la stoffa di quell’abito che dobbiamo indossare, adattandolo alla nostra personale misura. “Come ho fatto ioi, fate anche voi”, torna a ripeterci.

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)

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