Esaltazione della Croce

«BISOGNA CHE SIA INNALZATO IL FIGLIO DELL’UOMO»
(Nm 21,4b-9; Sal 77; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17)

            Da antichissima data la Chiesa, il 14 settembre, celebra la festa dell’esaltazione della Croce, e poiché ci invita a ricordare uno degli eventi fondamentali del mistero di Cristo, la festa viene celebrata anche quando cade di domenica, come avviene quest’anno. Il motivo della festa è dato dal ritrovamento della croce di Cristo avvenuto nel 326 per l’insistente iniziativa di Elena, madre dell’imperatore Costantino. Essendo di fede cattolica, la regina desiderava scoprire la croce di Cristo, per cui intraprese un viaggio a Gerusalemme per recarsi sul luogo dove, secondo una ininterrotta tradizione, era stato crocifisso Gesù insieme con i due ladroni. In quel luogo era stato costruito un tempio dedicato alla dea Afrodite, che Elena fece demolire per poter scavare sotto le sue fondamenta. Lì, insieme ad altri resti, furono trovate tre croci. Ma come fare ad identificare quella di Gesù? Occorreva un segno sicuro. Così vennero portate sul posto una donna gravemente ammalata ed il corpo di un uomo che stava per essere portato al sepolcro. Venne accostata la prima croce, ma nessuna reazione fu notata; lo stesso avvenne al contatto con la seconda croce. Ma quando la terza croce toccò la donna ammalata, questa guarì improvvisamente, mentre il corpo dell’uomo morto riprese di nuovo a vivere. Nessuna prova più grande e convincente che quella era proprio la Croce di Cristo Gesù, il Salvatore, il Signore della vita.

          cricifisso  L’orribile e infame strumento di tortura e di morte si rivela, in maniera paradossale, strumento di vita e di guarigione, in perfetta coerenza con l’agire di Dio, che è capace di trasformare la roccia in sorgente di acqua viva e la palude in un rigoglioso giardino. Questo agire paradossale di Dio lo troviamo, nella liturgia di oggi, fin dalla prima lettura che ci racconta un insolito ed “irregolare” episodio raccolto nel libro dei Numeri. Il popolo di Dio si trova ancora nel deserto ed è già stanco e stufo di avere sempre da mangiare la stessa manna, che ormai gli dava la nausea, e da sopportare la scarsezza dell’acqua e la pesante permanenza in quei luoghi aridi e roventi. Così comincia a lamentarsi ed a ribellarsi con rabbia ed esaperazione contro il Signore. Ma ecco che, in seguito a questa reazione, tutto  l’accampamento viene invaso da serpenti velenosi, molto conosciuti e temuti, che venivano chiamati, “i brucianti” a motivo delle sofferenza che infliggevano a quanti erano morsi da essi. Il terrore si diffonde nell’accampamento ed il popolo si rivolge a Mosé, chiedendogli di supplicare il Signore che li liberasse da quella orribile morte. Mosè prega ed il Signore lo ascolta, ma chiedendogli di fare qualcosa di assolutamente “anormale” ed imprevedibile. Gli chiede di costruire un serpente di bronzo e di porlo su un’asta, ben in vista di tutti.

            Il serpente, che fino a questo momento è stato causa di morte, ora, per la parola di Dio, si trasforma in strumento di guarigione e di salvezza. Un oggetto idolatrico, opera delle mani dell’uomo, che ha occhi e non vede, che ha orecchi e non sente, che ha mani e non opera, che ha i piedi e non cammina, ora viene trasformato in strumento operante secondo il volere di Dio, a testimoniare che solo Jahvè, l’unico vero Dio, è Colui che può dare vita e capacità di azione.  Ma nello stesso tempo diventa un segno profetico di una realtà ancora da venire, la Croce di Cristo, il legno sul quale sarebbe stato innalzato Gesù, condannato secondo il volere degli uomini, ma glorificato e divenuto causa di salvezza eterna per volere di Dio Padre, che trasforma il gesto di condanna e di odio rabbioso degli uomini nel gesto dell’amore gratuito e misericordioso di Dio, che ha tanto amato gli uomini da dare per noi il suo Figlio Unigenito. Dove gli uomini pongono la morte, come espressione del loro vuoto e distruttivo potere, lì Dio pone la sorgente perenne della vita che continuerà a sgorgare per tutti i secoli dare, alimentare e rinnovare la vita di quanti si volgono a Lui con fede.

            Il valore simbolico del serpente di bronzo viene esplicitamente ricordato da Gesù come immagine della sua esaltazione sulla Croce, dove il verbo “esaltare” è preso nel suo duplice significato di innalzare e di glorificare. Gesù viene innalzato e posto alla vista di tutti come segno di ludibrio e di estrema vergogna, rifiutato e rigettato dagli uomini, ma nel piano di Dio quel suo umiliarsi fino alla morte, ed alla morte di croce, diventa il segno più eloquente dell’amore che si consegna totalmente e volontariamente, e ratifica la profonda comunione di Colui che si è fatto carne legandosi indissolubilmente alla nostra umanità, a ciascuno di noi. Solo l’amore ha il potere di vincere sulla brutalità, sull’odio, sulla sofferenza e sulla morte, trasformandone il significato. La morte di Gesù, che si è unito ad ogni uomo che viene in questo mondo, ha reso possibile che anche la sofferenza e la morte stessa non  pesassero solo come una condanna, ma che fossero anche seme di redenzione e di vita nuova. La sofferenza di ogni uomo, e persino la sua morte, ormai assunta da Cristo Gesù, può diventare luogo in cui si rivela l’amore, luogo della presenza salvifica di Dio in Cristo Gesù, il figlio dell’uomo, così che chi crede in lui abbia la vita eterna.

            Ogni parola ci viene tolta e perde di significato quando ci troviamo di fronte alla sofferenza, soprattutto di fronte alla sofferenza innocente. Solo il silenzio e la presenza che si fanno sincera condivisione possono esprimere qualcosa che ha un senso. Le parole non hanno più spazio, ma solo l’essere presente e vicino. Non è un caso che Dio dice al suo popolo di guardare soltanto al serpente, fidandosi della sua parola. Non è un caso che Gesù trasforma il verbo vedere nell’altro verbo più forte, “credere”, andare oltre all’apparenza, per riuscire ad intravedere quello che gli occhi non possono vedere, ma che pure c’è ed è reale. Nel momento che guardiamo a colui che è stato trafitto, allora intuiamo, con uno sguardo di fede, che in quel Crocifisso si manifesta la gloria del Padre che lo rivela come Signore, ed allora anche la nostra sofferenza e la nostra morte non saranno più segni di condanna, ma possono trasformarsi in segni di salvezza, di redenzione e di vita.

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)

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