(Anno C) XXIX domenica del tempo ordinario

«PREGARE SEMPRE SENZA STANCARSI MAI»
(Es 17,8-13; Sal 120; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8)

Il tema della preghiera è senza dubbio uno dei più presenti e più intriganti nel Vangelo di Luca. Da una parte per l’esempio costante e coinvolgente di Gesù, che troviamo spesso immerso nella preghiera, di giorno e di notte, in luoghi solitari o davanti ai suoi discepoli, che ne sono talmente impressionati, che gli chiedono di insegnare loro l’arte del pregare. Dall’altra parte per gli insegnamenti espliciti che Gesù offre ai suoi discepoli sulla preghiera. Il Vangelo di questa domenica ci presenta per l’appunto un insegnamento direttamente mirato sulla preghiera, ed in particolare su un aspetto essenziale della preghiera, riguardante la “necessità di pregare sempre senza stancarsi”.

Per di più, come riguardo al’uso delle ricchezze aveva suggerito di seguire il discutibile esempio del fattore disonesto, a motivo della sua previgenza e lungimiranza, così, oggi, Luca ci racconta una parabola in cui Gesù ci presenta il caso di un giudice disonesto e corrotto, per far esaltare, per contrasto, la disponibilità e la prontezza di Dio nell’ascoltare le preghiere dei suoi servi. A questo si aggiunge la bellissima e suggestiva narrazione del libro dell’Esodo, in cui vediamo Mosè sostenere la battaglia contro gli Amaleciti con la forza della preghiera, mentre Giosuè affrontava il potente nemico con i suoi uomini poco sperimentati nell’arte della guerra, ma fiduciosi in Javhè che dona la vittoria.

Possiamo cominciare proprio da questa immagine di Mosè, che diventa come una icone della forza della preghiera incessante e fiduciosa rivolta Dio. Qui vediamo alcuni elementi di riflessione molto interessanti. Mosè ed il suo popolo si trovano di fronte agli agguerriti predoni di Amalek che li assalgono per depredarli. Le loro forze sono nettamente superiori a quelle di Israele, non abituato alla guerra. L’azione di risposta degli Israeliti di dispiega su due fronti: uno di carattere militare, guidato da Giosuè; l’altro di carattere spirituale, guidato da Mosè, con il sostegno di Aronne e Chur. Il popolo d’Israele confida nel Signore, Colui che può dare la vittoria e liberarlo dal nemico, ma nello stesso tempo fa la sua parte, disponendosi per la battaglia. Nello stesso tempo Mosè sale sul monte ed alza le mani in preghiera. Per dare risalto alla potenza ed efficacia della preghiera, il racconto attesta che mentre Mosè stava con le mani alzate al cielo, il suo popolo aveva la meglio; quando invece egli si stancava, gli Amaleciti prendevano vantaggio su Israele. Così Mosè fu fatto sedere, mentre Aronne e Chur sostenevano le sue mani, perché non cessasse mai di pregare, finché gli Amaleciti non furono completamente sconfitti.

L’immagine della battaglia è una delle più classiche per simboleggiare la vita dell’uomo su questa terra, con tutti i problemi e le difficoltà che si devono affrontare giorno dopo giorno. Il credente sa che egli non è solo. Egli è chiamato a fare la sua parte con impegno e responsabilità costanti, ma può sempre contare su Dio, che è al suo fianco, cammina con lui, l’accompagna e lo sostiene in ogni momento. L’uomo non può presumere di fare a meno di Dio, e Dio d’altra parte non abbandona i suoi figli, ma si prende cura di loro, perché la riuscita finale dell’uomo, cioè la sua salvezza, è dono di Dio ed è per grazia che noi siamo salvati. Questo agire in sintonia tra Dio e l’uomo, lo vediamo pure nella inquietante parabola del giudice iniquo e della vedova.

La fisionomia del giudice viene tratteggiata da due atteggiamenti di fondo, che di per sè sono stonati in un uomo che è chiamato ad esercitare la giustizia. Gesù stesso ce lo descrive come uno “che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno”, un uomo quindi centrato su se stesso, arrogante, cinico, senza scrupoli, disonesto, che agisce solo mosso da interesse personale. Eppure quest’uomo, che tante volte si era rifiutato di ascoltare quella povera donna, dalla quale non poteva sperare nulla, alla fine, per non essere più disturbato dalla sua insistente ed importuna presenza e per togliersela dai piedi, le fa giustizia contro il suo avversario. Se un giudice senza cuore riesce a rendere giustizia a quella donna indifesa, quanto più Dio, che è misericordioso e giusto, non sarà pronto ad ascoltare le suppliche dei suoi figli che si trovano nel bisogno e fanno ricorso a Lui!!! Ma in tutta la vicenda l’accento è messo sulla insistenza della preghiera, sul fatto che quella donna continua a rimanere sulla breccia, nonostante i continui rifiuti, non si arrende e non desiste dal chiedere che le venga resa giustizia. Certamente crede nella bontà della sua causa e nel suo intimo continuamente si rivolge a Dio, ma questo non la esime dal fare tutto quello che è in suo potere per essere ascoltata. Per questo non si stanca di importunare il giudice, fino a che non viene esaudita.

Pregare, nel nostro tempo soprattutto, è già di per sé difficile, e la gente molto spesso non capisce perché deve pregare. Tanto più riusciamo a capire questo insegnamento di Gesù che ci chiede di pregare sempre, senza stancarci, anzi afferma chiaramente che si tratta di una necessità: la stessa necessità che abbiamo di respirare per vivere. Però, mentre a questa esigenza provvede la natura stessa, all’altra esigenza può provvedere solo la fede. Fede e preghiera vengono poste in relazione di reciprocità feconda. La fede sostiene ed alimenta la preghiera. La preghiera si nutre e si radica nella fede. La fede, se viene meno la preghiera, si va svuotando lentamente e finisce col dissolversi nel nulla. Se facciamo fatica a pregare è perchè la nostra fede è fiacca, dormiente o latitante, perché la fede è anzitutto relazione con Dio, in Cristo Gesù. Se con Cristo Gesù non abbiamo un contatto vivo e continuo, è normale che la nostra preghiera si inaridisca e non trovi spazio in noi. L’interrogativo con cui termina la parabola ci fa tremare. Quando tornerà, troverà Gesù ancora la fede sulla terra? Un interrogativo davvero inquietante.

Ma ci imbarazzano pure le altre domande, che in fondo sono delle affermazioni che ci rassicurano sul fatto che Dio ascolta chi grida notte e giorno verso di Lui, che non lo fa aspettare e gli da risposta prontamente. Ed è qui che rimaniamo perplessi. Quante preghiere sembra che non vengano ascoltate da Dio? Quante volte pensiamo che Dio sia sordo e non si prenda cura di noi? Cosa significa questo prontamente? Certo i tempi di Dio non sono i nostri, e le nostre richieste non sempre entrano nel suo progetto. Forse noi vorremmo un Dio a nostra misura e secondo i nostri bisogni, invece di entrare nella misura e nel pensiero di Dio. Forse, sotto sotto non crediamo molto alla vita eterna e ci interessa solo questa. Forse vorremmo anticipare i cieli nuovi e la terra nuova, dove non ci sarà più nè lutto nè pianto. Forse vogliamo eliminare il mistero della croce di Cristo, che culmina nel grido di fede : ”nelle tue mani affido la mia vita”?
Giuseppe Licciardi (P. Pino)

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