(Anno C) XVIII domenica del tempo ordinario

«La vita non dipende da ciò che si possiede»
(Qo 1,2;2,21-23; Sal 89; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21)

Lungo il cammino Gesù viene fermato da un uomo che gli chiede di fare da giudice tra lui e il fratello nella divisione dell’eredità paterna. Questa richiesta mostra la stima di cui Gesù gode tra la gente, la quale sa che Gesù non guarda in faccia nessuno quando si tratta di dire la verità, e quindi il suo giudizio ha grande autorevolezza. Eppure, in questa occasione, Egli si rifiuta di fare da giudice tra questi due fratelli, come a voler dire che essi hanno i mezzi idonei per regolare secondo la legge queste faccende. Il loro essere fratelli, inoltre, dovrebbe offrire i criteri adeguati per risolvere la questione, salvaguardando la giustizia e soprattutto la pace fraterna. Purtroppo sappiamo bene come tanti fratelli, che fino a quel momento erano vissuti in pace ed amore, quando si tratta di questioni di interesse non riescono a essere liberi ed equi nel giudizio e perdono la testa. Diventano capaci di dimenticarsi dei migliori sentimenti e del proprio sangue di fronte all’ interesse. Così l’eredità da dividere diventa occasione di divisione tra i fratelli e a volte di rancori e di odi che non hanno più fine. Ecco che allora Gesù va all’origine del problema, dandoci una preziosissima lezione sul valore e sull’uso dei beni e delle ricchezze.

«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia». Ecco il pericolo che minaccia il cuore dell’uomo ed è capace di corromperlo: la cupidigia, la bramosia del possedere, del dominio, il desiderio sfrenato di avere tutto per se stesso. La cupidigia viene definita apertamente da Paolo come “idolatria”, come un demone che prende possesso del cuore dell’uomo e lo porta alla perdizione. Chi possiede ricchezze corre il rischio di poggiare su di esse la propria vita, illudendosi di poter avere tutto e perdendo il senso stesso della realtà, perché viene assalito dalla mania di onnipotenza. Chi si lascia dominare dalla cupidigia perde di vista la verità più ovvia che sta davanti ai nostri occhi, e cioè che ci sono delle “cose” indisponibili, su cui il denaro non ha potere: la nostra stessa vita, la felicità, l’amore e la morte non possono essere comprati da nessuna ricchezza. Ben a ragione il Siracide guarda con grande distacco a tutte queste cose, affermando che esse sono “vanità”, cioè, hanno la consistenza di un pallone gonfio di aria, che dà la parvenza di essere chissà quanto grande e consistente, per poi mostrare la sua vacuità e inconsistenza. Gesù ci lascia una frase indimenticabile e penetrante come un aforisma: «anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

Per farci capire meglio questa grande verità, Gesù ricorre ad una parabola. Se le cose che possediamo vengono chiamati “beni”, vuol dire che di per se essi sono dei valori positivi per la vita dell’uomo. Tuttavia essi possono trasformarsi in trappole mortali, in base al modo in cui vengono usati. Quanto più essi vengono usati per l’esclusivo vantaggio personale, chiudendo la persona in se stessa e impedendogli di vivere la dimensione della fraternità e della condivisione, tanto più riveleranno il loro volto malefico, trasformandosi in “male” per chi li possiede e li usa così. Questo aspetto viene messo ben in luce dal fatto che il ricco possidente della parabola ha acquistato i suoi beni ed ammassato le sue ricchezze non in maniera disonesta, ma lavorando con assiduità ed impegno nella propria campagna, che gli ha consentito di avere una vita agiata ed ora, con una annata abbondante, gli consente di aumentare a dismisura le proprie ricchezze, tanto da avere bisogno di allargare i propri granai per poter ammassare tutto il copioso raccolto. Questa esuberante ricchezza lo ubriaca, tanto che comincia a fare dei ragionamenti che in apparenza sono corretti e dettati da accortezza e di previdenza per il futuro, ma che nella realtà poi rivelano il loro punto debole. Quell’uomo, come si suol dire, sta facendo i conti senza l’oste. Egli ragiona come se quei beni gli consentono di mettere al sicuro la sua vita e il suo futuro, come se non dovesse morire mai. Non ha messo in conto la dura verità che gli si presenta davanti: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”.

Se seguiamo i ragionamenti di quest’uomo, ci rendiamo conto che egli è totalmente centrato su se stesso. Nemmeno lontanamente il pensiero degli altri viene a sfiorare la sua mente e toccare il suo cuore. Non esistono nè famiglia, nè amici, nè altri che possono entrare nell’uso e nel godimento di questi beni. Sembra che quest’uomo sia diventato totalmente cieco e non riesce a vedere null’altro al di fuori di se stesso e del proprio piacere: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!». Ecco l’orizzonte di vita di questo ricco, che nella parabola viene definito “stolto” proprio da Dio. Gli viene detto che ha sbagliato tutto. Egli pensava di aver raggiunto il massimo, di essere riuscito alla grande nella sua vita, ed ora gli viene detto che essa è stata un fallimento. Perchè? Dove ha sbagliato? L’esame che viene fatto ci dice che egli dato una direzione sbagliata alla sua esistenza, per cui ha mancato di raggiungere l’obiettivo. La parabola chiude svelando la giusta direzione che ogni uomo è chiamato a dare alla sua esistenza. É una lezione da non dimenticare, se vogliamo veramente riuscire nella vita e non dover dichiarare bancarotta finale. « Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Da un po’ di mesi la chiesa e l’umanità intera sta ad ascoltare l’invito insistente di Papa Francesco a una vita più semplice, sobria ed essenziale, capace di entrare in una dimensione più fraterna, in uno spirito di servizio e di condivisione che ci aiuti ad uscire da noi stessi, dalle nostre logiche di egoismo, di apparenza, di potere e di possesso. Quello che accumuli solo per te stesso lo perdi, quello che condividi con gli altri te lo ritrovi moltiplicato. Questa è la logica che Gesù ci insegna per arricchire veramente davanti a Dio.
Giuseppe Licciardi (P. Pino)

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