(Anno B) XV Domenica del tempo Ordinario

“PRESE A MANDARLI A DUE A DUE”
(Am 7,12-15; sal 84; Ef 1, 3-14;Mc 6, 7-13)

É una pagina assai triste e sconcertante questa del profeta Amos, perché ci mostra lo svuotamento e lo stravolgimento della missione profetica, quando viene posta a servizio degli interessi personali e di casta. Questo capovolgimento di valori si rende subito evidente nelle parole arroganti di Amasia, “sacerdote di Betel”, il quale sfacciatamente osa affermare: «questo é il santuario del re ed é il tempio del regno». Affermazioni pesantissime, che fanno affondare inesorabilmente ogni autentico anelito e sentimento religioso per trasformarlo in ricerca di autoaffermazione e servile compiacimento nei confronti del potere, sia politico che economico e religioso. Per Amasia, e quelli del suo seguito, il sacerdozio non é piú a servizio del Dio vivente, e il santuario non é piú il luogo della presenza e del culto di Dio, ma semplicemente «il santuario del re», perché ormai in quel luogo l’obbedienza va prestata al re. Il re quindi prende il posto di Dio e il “profeta” non ha bisogno di essere “afferrato dallo Spirito di Dio”, ma gli basta dire semplicemengte quanto non dispiace al re ed asseconda i suoi interessi. All’origine del sacerdozio e della profezia a questo punto non ci sta piú Dio, ma solo il proprio vantaggio e interesse.

Ed ecco che la profezia autentica viene bandita e non ha piú diritto di cittadinanza alla corte del re: essa viene cacciata via ed é costretta all’esilio. Il profeta Amos rivendica il suo diritto, manifestando il vero e genuino carattere della profezia. Essa, anzitutto, viene direttamente da Dio che irrompe nella vita del profeta sradicandolo dal suo mondo per metterlo a servizio esclusivo di Dio. Possiamo dire che, in qualche modo, é un’azione di forza da parte di Dio, il quale ha bisogno di un uomo che gli presti la sua voce e la metta completamente a suo servizio: il profeta infatti é portavoce di Dio ed eco fedele della sua parola. L’agire sovrano di Dio, ma anche la disponibilitá umile e quasi riluttante del profeta appaiono chiaramente nel racconto della vocazione profetica di Amos, cosí come egli stesso ce lo rivela: «Il Signore mi prese, mi chiamó… mi disse: va’ e profetizza al mio popolo Israele». Amos non fa altro che corrispondere all’invito autorevole di Dio, lasciando la sua  abituale attivitá di coltivatore di sicomori, la sua terra, la sua casa e la sua famiglia, perché in Israele non si é trovato piú nessun vero profeta e Dio ha scelto lui, perché portasse proprio lí la sua parola. Dio vuole fare udire la sua parola, «secondo il disegno di amore della sua volontá», perché essa annuncia sempre la sua misericordia e la sua fedeltá ed offre opportunitá di salvezza e di grazia anche quando richiama in maniera brutale, svelando le conseguenze terribili riservate a chi rifiuta di ascoltarlo e dargli fiducia.

Al centro dell’interesse di Dio ci sta la vita e il bene del suo popolo
. Per questo Dio non si stanca mai di richiamare, ammonire, invitare il suo popolo a cercare la via della vita, mandando dei profeti.
La stessa logica di amore sta nel cuore di Gesú, quando decide di moltiplicare la sua presenza e azione missionaria di annunzio del Regno di Dio e di salvezza, mandando i Dodici. Gesú matura la sua decisione di rendere i suoi discepoli piú intimi, i Dodici, partecipi del suo potere e della sua stessa missione.  Infatti, continuando il suo cammino, li chiama e comincia a mandarli a due a due: «cominció a mandarli a due a due...». La missione dei discepoli ha inizio, e da questo momento non cesserá piú fino alla fine dei tempi, fino a quando i confini della terra non udranno parlare e non beneficeranno della misericordia di Dio.

I Dodici vengono mandati a due a due
sia per sostenersi e incoraggiarsi reciprocamente, sia per dare testimonianza che il cammino dei discepoli é un cammino di comunione e di condivisione, sia ancora perché la parola di salvezza che essi annnunciano non é patrimonio privato, ma é la consegna preziosa che ricevono da Gesú e che fedelmente essi devono trasmettere. La nota piú interessante é la prima cosa che viene messa in evidenza: il potere che Gesú dà ai Dodici «sugli spiriti impuri». Quel potere che Egli ha giá manifestato in tante occasioni e che ha suscitato lo stupore delle folle, ora Gesú lo trasmette ai suoi discepoli, i quali sanno che potranno e dovranno agire sempre nel nome e per conto di Lui. Attraverso gli apostoli Gesú moltiplica e prolunga la sua azione e la sua presenza, senza alcuna forma di gelosia o di limitazione. Una sola consegna viene fatta: visto che sono mandati direttamente da Gesú, essi dovranno fare conto solo su di Lui. Sará Lui, e Lui solo, la loro forza, la loro sapienza, il loro sostentamento, il loro rifugio, la loro sicurezza, la loro difesa. Non dovranno fare affidamento su alcun mezzo umano, né sul denaro, né sul cibo, né sul vestito. Andranno solo con l’essenziale, senza garanzie e assicurazioni per il futuro. Veramente questa é una pagina che fa tremare i polsi e capace di mozzare il fiato. Giá sentiamo salire dentro noi stessi una forma di incredulo stupore: “ma proprio nulla?…”, e tanti “se” e tanti “ma” che vengono su dalla nostra debolezza, dalla nostra paura, dalla nostra poca fede. Vogliamo, o vorremmo, delle sicurezze, delle garanzie, delle certezze, prima di imbarcarci in un’avventura del genere.

Ed invece nulla di tutto questo. Pur sapendo di essere mandati da Gesú, i Dodici non dovranno aspettarsi di essere necessariamente accolti e apprezzati. Loro stessi hanno visto che il loro Maestro per primo é stato rifiutato, disprezzato ed é stato cacciato via in malo modo. Perció anch’essi dovranno imparare ad accettare questa possibilitá, perché solo a questo prezzo possono veramente condividere la sorte del loro Maestro e Signore e diventarne fedele e credibile immagine. La polvere che devono scuotere sotto i loro piedi vuole ricordare che non si devono permettere amarezza o risentimento o rancore, se vengono rifiutati , non ascoltati o addirittura  insultati. Come Gesú devono continuare il loro cammino annunciando il Regno di Dio.
Cosí, obbedendo al comando di Gesú, essi partono. Partono come profeti, come coloro che parlano ed agiscono per conto e in sintonia perfetta con la parola e il potere che Gesú ha loro dato.

In maniera sobria e senza alcuna enfasi, Marco ci riferisce che la loro missione é straordinariamente efficace: proclamano la parola che invita alla conversione e scacciano “molti” demoni. Quanto eloquente questo aggettivo “molti”, quasi una messa in guardia per tutti noi, chiamati ad essere alle prese con una moltitudine di forze oscure! Troviamo inoltre una nota interessante che leggiamo per la prima volta: i Dodici «ungevano con olio molti infermi». Ancora una volta l’aggettivo “molti” rivela la nostra precaria e drammatica situazione. L’unzione con olio é un segno della nuova luce di Dio che comincia ad illuminare l’oscuro cammino della sofferenza, che molti inevitabilmente percorrono, ma che ormai é illuminato dalla speranza. É allusione e preludio al sacramento di guarigione che Gesú ha consegnato ai Dodici e affiderá alla sua Chiesa. Il frutto é davvero incredibile e consolante: i malati guariscono. I Dodici non hanno fatto calcoli, non si sono lasciati imbrigliare dalla paura di essere lasciati in balìa di se stessi. Essi sono partiti confidando totalmente ed incondizionatamente in Gesú, e non se ne sono pentiti. Non sono rimasti delusi.

Giuseppe Licciardi (P. Pino)

 

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