(Anno C) XXIII domenica del tempo ordinario

«CHI NON RINUNCIA A TUTTO, NON PUÒ ESSERE MIO DISCEPOLO»
(Sap 9,13-18; Sal 89; Fm 1,9-10.12-17; Lc 14,25-33)

Lungo tutto il suo percorso verso Gerusalemme, Gesù ha cercato continuamente di mettere i puntini sulle “i” per far comprendere quali requisiti deve avere il suo discepolo e come, soprattutto, deve somigliare al Maestro in tutte le scelte della sua vita. Ma la cosa fondamentale della sequela è il rapporto unico ed irrevocabile che occorre instaurare con Gesù. Nonostante le puntuali precisazioni che non smette mai di sottolineare, Gesù riesce a trascinare dietro di sé un numero davvero considerevole di persone, tanto che Luca non può fare a meno di notare che “una folla numerosa andava con Lui”. Ancora una volta, e con grande severità e durezza, Gesù mette in guardia la folla che lo segue che chi cammina con Lui non sta facendo una passeggiata ecologica ma si assume un impegno radicale che viene a coinvolgere tutta intera la sua esistenza e non si limita ad un momento di euforia o di superficiale emozione, che vengono meno col sopraggiungere della fatica e della difficoltà del cammino.

Così Gesù annuncia con chiarezza quali sono le condizioni inderogabili della sequela: metterlo al primo posto, al di sopra di ogni legame di sangue, al di sopra di ogni interesse personale e incondizionatamente. Chi sceglie Lui, lo sceglie senza se e senza ma, pronto ad andare fino in fondo, senza scuse e senza rimpianti.
La prima condizione che Gesù pone è che il discepolo deve rendersi totalmente libero da ogni legame affettivo che lo possa distogliere dalla sequela. I legami più intimi e naturali devono fare i conti con la sua persona. Luca li enumera uno per uno, sapendo quale valore avesse ciascuno di questi legami nella cultura ebraica: padre, madre, moglie, figli, fratelli e sorelle. Si tratta di persone a cui siamo legati naturalmente e che certamente è giusto amare e rispettare. Ma l’amore verso Gesù viene al primo posto rispetto a questi amori pure sacrosanti, che non possono diventare un intralcio o un ostacolo a seguire Gesù. Come è successo ai primi discepoli che Gesù ha chiamato alla sua sequela, i quali hanno lasciato la loro famiglia per seguire Gesù, allo stesso modo deve avvenire per il discepolo del nostro tempo. Se qualcuno viene chiamato a seguire Gesù per impegnarsi con Lui in una scelta di vita speciale, per consacrarsi alla missione che il Signore gli indica, nessuna persona cara può divenire una scusa per declinare l’invito. Ma nemmeno il tentativo di mettere al sicuro la nostra stessa vita può essere invocato come scusante di fronte all’esigenza di dimostrarci suoi discepoli. Lui vale più della nostra vita, perché per il discepolo Gesù diventa la ragione stessa della sua vita.

La seconda condizione che Gesù mette davanti è l’esigenza di portare la propria croce. La croce è una parola chiave che tuttavia rimane misteriosa, ma nello stesso tempo parla con forte eloquenza, perché ormai viene identificata con Colui che per definizione è il Crocifisso. Portare la propria croce ci dice allora che chi sceglie Gesù si viene a trovare in forte contraddizione con i valori e la mentalità di questo mondo. Portare la croce significa che il discepolo deve essere pronto ad affrontare un cammino contro corrente, che lo fa sentire estraneo di fronte ad una società che segue altri signori e maestri, i vari scribi e dottori della legge di ogni epoca, per cui la logica dominante è quella della menzogna, del calcolo, del primeggiare, dell’apparire, del conquistare il potere, la fama e la ricchezza, e cose del genere. Mentre andare dietro Gesù esige di camminare nella verità, di mettersi all’ultimo posto, di rendersi disponibile al servizio, di non dare spazio all’odio o al risentimento, di essere pronti al perdono, di stare con gli ultimi, con i sofferenti e i perduti della vita. Chi non riesce a seguire Gesù in tutti questi sentieri battuti da Lui ad ogni passo non può essere suo discepolo. Il suo NO è insormontabile. Non si può pretendere di stare con lui e di fare a modo nostro, perché l’incompatibilità è radicale.

A questo punto Gesù tira fuori due brevi parabole, alla portata di tutti, per invitare la folla che lo segue a fare bene i conti. Non si va all’arrembaggio, o la va o la spacca, ma bisogna essere capaci di valutare bene qual’è il costo che si affronta mettendosi con Gesù. Ed il costo può essere benissimo la propria stessa vita, non solo moralmente parlando, ma anche anche effettivamente. Quante sono oggi le persone che vivono giorno dopo giorno col serio rischio di rimetterci la propria propria vita per rimanere fedeli a Gesù e al suo vangelo! Situazioni del genere sembrano a noi possibilità molto remote, forse perché non dobbiamo molto soffrire per vivere la nostra fede. Anzi possiamo dire che ogni scusa è per noi accettabile per mettere in secondo piano le esigenze della nostra fede, che non siamo poi così esigenti con noi stessi e siamo facili al baratto e al compromesso. Ad essere sinceri, come ci troviamo di fronte a queste parole di Gesù, che si pone come il valore al di sopra di ogni altro possibile valore, il bene da preferire di fronte ad ogni altro possibile bene che ci si presenta? Personalmente mi viene da arrossire dalla punta dei piedi fino all’ultimo capello della testa, se vedo quale posto di fatto occupa Gesù nella mia vita, al di là del mio impegno visibile e del ruolo che svolgo.

La conclusione di questo discorso alla folla non fa che ribadire e sintetizzare quanto ha detto. La triplice ripetizione “non può essere mio discepolo”, non da spazio alcuno a dubbi o ad eventuali incomprensioni o equivoci di sorta. Sembra risentire l’altra famosa espressione di Gesù che dice: “chi non è con me, è contro di me”. Chiaramente, non possiamo tentare di salvare capre e cavoli, la scelta di Gesù e le nostre comodità, e nemmeno fare una insalata mista, scegliendo quello che di Gesù e del vangelo ci va a genio e riusciamo a digerirlo, mettendo da parte il resto. Questa operazione non è ammessa. «Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». Prendere o lasciare. Lui ha dato tutto. Ci ha rimesso la vita. E io?

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)

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