(Anno C) XIV domenica del tempo ordinario

«VI MANDO COME AGNELLI IN MEZZO AI LUPI»
(Is 66,10-14; Sal 65; Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20)

Il profeta Isaia da il tono di fondo all’ascolto della Parola di questa domenica con un messaggio di consolazione e di gioia che risuona per le vie di Gerusalemme, annunciando la visita del Signore a questa città ed ai suoi abitanti. La promessa che la mano del Signore si poserà su di essa fa presagire una effusione generosa dello spirito del Signore che inonderà la città come un fiume di pace. La promessa di Dio sembra trovare la sua realizzazione nella persona di Gesù, che si prepara ad entrare a Gerusalemme, facendosi precedere dai suoi discepoli. Essi vengono mandati da Gesù e si mettono in cammino per preparare la via al Signore proclamando la venuta del suo Regno in ogni città e villaggio, con l’annuncio della pace ad ogni persona e ad ogni casa che si dimostra pronta ad accoglierla, con il potere di esorcizzare ogni espressione dello spirito del male che tende a rendere schiavi gli uomini, e con la liberazione dalle varie forme di malattia che toglie la gioia dal cuore dell’uomo.
Eppure, nonostante tutti questi segni di potenza che rivelano la presenza di Dio, che agisce tramite i discepoli, essi sono tenuti a presentarsi in povertà e debolezza. Solo a queste condizioni Dio si compiace di manifestarsi in loro e per mezzo di loro.

Avviandosi verso Gerusalemme, sembra che Gesù voglia quasi accelerare la sua missione, moltiplicando il numero dei messaggeri che manda davanti a se a preparare la sua accoglienza nelle varie città dove vuole recarsi. Ma il numero dei discepoli che egli sceglie per questa missione, al di là dei Dodici, sembra suggerire qualcosa di più profondo. Il numero 72, secondo il libro della Genesi, è infatti il numero dei popoli che abitano la terra, e quindi ci suggerisce che la missione di Gesù non riguarda soltanto Israele, popolo di Dio, ma è rivolta a tutte le nazioni della terra, perché anch’esse appartengono a Dio, ed anche per esse Gesù è venuto nel mondo. Se Gesù va a Gerusalemme per offrire la sua vita in sacrificio di salvezza e di espiazione per tutta l’umanità, la sua missione è rivolta a tutti i popoli. L’azione di Gesù si presenta allora come anticipazione della missione finale che esplicitamente egli affiderà ai discepoli di andare in tutto il mondo, annunciare il Vangelo ad ogni creatura e fare discepoli tutti gli uomini. Nell’inviare i 72 Gesù traccia il profilo ideale del discepolo, le competenze che gli vengono attribuite, ma anche lo stile essenziale della missione.

Il primo aspetto che viene messo in evidenza consiste nel fatto che i discepoli vengono mandati a due a due. Non ci sono missionari solitari o autoreferenziali. Intanto sono mandati e quindi devono rispettare le consegne che hanno ricevuto, quali portatori di un messaggio che devono trasmettere con fedeltà, e non soltanto con la loro parola, ma con la testimonianza della loro vita personale. Sono mandati a due a due per essere reciprocamente testimoni della autenticità del messaggio, ma anche per sostenersi e aiutarsi l’un l’altro. La comunione di vita e la carità reciproca sono un aspetto essenziale del messaggio. Mancando queste, lo stesso messaggio ne verrebbe compromesso. Il discepolo deve somigliare al maestro. Gesù è stato mandato dal Padre, fa tutto quello che il Padre gli chiede ed annuncia quello che il Padre gli dice. Inoltre, Gesù non comincia la sua missione da solo, ma subito si circonda di discepoli che cominciano a stare con Lui e a condividere la sua stessa via, diventando testimoni di quello che egli fa ed insegna. L’annuncio del Vangelo è quindi un compito comunitario ed ecclesiale, anche quando, per certi aspetti, viene svolto da pochi o addirittura da una persona particolare.

La forza del Vangelo non può consistere nell’apparato organizzativo, o nella potenza ed efficienza dei mezzi che vengono usati. Più si conta su questi mezzi, meno efficace risulterà la forza dell’annuncio. Ai discepoli viene comandato, e non soltanto consigliato, di andare in povertà, senza denaro e senza altri mezzi di ordine materiale su cui contare. Non vanno per esibire potere o ricchezza, ma in umiltà e come bisognosi di tutto: di cibo, di ospitalità, di vesti. Ma pronti a donare a tutti il bene maggiormente desiderabile, che è come la sintesi e la somma di ogni altro bene, la pace. Pace che è segno della presenza di Dio e della sua benevolenza, pace che è frutto dell’accoglienza della parola che viene predicata. Una pace forte e umile, ma che cammina nel segno della precarietà, perché dipende anche dall’accoglienza che riceve. Il dono può essere rifiutato, ma a danno e a condanna di chi lo rifiuta. Viene donata liberamente e liberamente deve essere accettata. Fin dal principio Gesù mette in guardia che i discepoli non hanno garanzia di successo umano e di accoglienza, perché vengono mandati come pecore in mezzo ai lupi, in una realtà umana che non condivide automaticamente i valori e le logiche che sono proprie del Regno di Dio. Il trovarsi in minoranza o l’andare contro corrente non sono delle situazioni eccezionali, ma sono l’ambiente normale di vita per il discepolo, allo stesso modo che è stato per il maestro.

Eppure, grazie a questa insignificanza di mezzi e di garanzie umane, il discepolo può contare sulla potenza di Dio, che agisce con efficacia per mezzo di lui. Quanto più il discepolo fa trasparire la parola, l’azione e la potenza di Dio, tanto più Dio si sentirà coinvolto a dare man forte al discepolo, che non ha altri su cui contare se non solo su Dio. Ecco allora che il discepolo sarà rivestito di potenza dall’alto per guarire gli infermi, per cacciare i demoni, per allontanare da sé ogni insidia e ogni attacco del male. Ma tutto questo verrà fatto come puro dono che viene da Dio, non come mezzo di autoesaltazione e autocompiacimento. Il discepolo non deve cercare se stesso o il proprio successo o vantaggio personale, ma solo la gloria di Dio. Se di una cosa il discepolo si può rallegrare, questa può essere soltanto la consapevolezza di essere amato da Dio e che Dio lo ha posto al sicuro nelle sue mani misericordiose e paterne. Il nome del discepolo non deve essere scritto nelle lapidi delle glorie umane, ma nel libro della vita che Dio stesso scrive con caratteri indelebili, nei cieli. Su quali mezzi conta oggi la Chiesa per annunciare il Regno di Dio già presente nel mondo?

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)

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