Un pizzico di cenere e un pugno d’acqua

Riflessione sulla Quaresima di Don Marco Pozza

Un pizzico di cenere e un pugno d’acqua: il segreto che la nonna – china sulle limpide acque di montagna – era solita usare quotidianamente per rimettere a nuovo i panni sporchi. Cenere sulla testa il mercoledì che inaugura la Quaresima e acqua sui piedi la sera del Giovedì Santo: il segreto che la Chiesa da millenni ha fatto suo per incominciare e concludere la stagione della Quaresima. Ed ecco che con la cenere e l’acqua propone l’immagine austera del deserto, luogo misterioso e intrigante, luogo di morte e di sfida, di sopravvivenza e d’audacia. Luogo in cui Dio porta i suoi profeti per parlare al loro cuore, per rimettere in piedi esistenze smarrite, per allenare al combattimento del mondo.
E anche le nostre città hanno i loro deserti: il deserto della malinconia e della tristezza giovanile, il deserto di una crisi che avanza impietosa e di un mondo apparentemente giocherellone, il deserto di tante domande e di poche risposte. E’ la storia di tante famiglie che, spenti i riflettori dell’apparenza, scoprono che la festa è finita e che il gioco si fa serio. Ma occorre abitare il deserto per raccoglierne i profumi e gustarne gli aromi portati dal vento. Con la cenere in testa abbiamo 40 giorni d’allenamento. Si sporcheranno i piedi, perché – a chi raccoglierà la sfida – capiterà di dover attraversare zone impervie, dubbi laceranti, sfide disumane: ma all’uscita c’aspetterà l’acqua sui piedi del Giovedì Santo. Lo sa un maratoneta cosa significa una brocca d’acqua fresca dopo uno sforzo massacrante e sudato: è respiro, sospiro, rigenerazione.
Abitare il deserto è come un esercizio reso appositamente duro per preparare il corpo a migliorare le prestazioni. Per noi oggi è follia: perché nel deserto il beduino non porta l’Ipod nelle orecchie, il mascara sotto gli occhi o la crema abbronzante. Nel deserto l’Ipod va spento: sono le stelle che tracciano la rotta per non smarrirsi. E chissà mai che, accettando la sfida di abitare questa zona, non scopriremo dentro di noi la nostalgia del Cielo: quella che ti fa venire voglia d’essere pulito, d’essere te stesso, d’abbandonare mille immagini costruite, d’essere semplice per stupire il mondo.
Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai“, ha ricordato il vecchio curato spargendo la cenere sul capo. Davvero nulla siamo: basta un’inflazione a Wall Street e manca il pane, due linee di febbre e manca la salute, un legame spezzato e scompare la gioia. Polvere è l’uomo: eppure quella polvere, abitata dal soffio dello Spirito, è rimasta ancor oggi il capolavoro più bello. Così bello e delicato che, ogni anno, puntualmente l’Artista la richiama nel laboratorio del deserto per fare un trattamento che mantenga e ringiovanisca il suo splendore.
Si è sempre e solo nudi sotto il cielo: che lo si scali con impalcature – come è accaduto nella pianura di Babele – o che lo si voglia evitare – come nel caso di Giona -. Eppure nel deserto abita un pozzo. Anche per il buon ladrone del Venerdì santo che, avvezzo a furti di basso rango, gli riesce di rubare anche il Paradiso, concludendo in bellezza e speranza una vita tortuosa.

Don Marco Pozza

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