Tamar, prostituta di una notte

Leggendo il primo capitolo del Vangelo di Matteo, ci troviamo la genealogia di Gesù Cristo, a partire da Abramo. Genealogia che va avanti seguendo invariabilmente il ramo maschile, ma con ben quattro eccezioni, dove accanto all’uomo, compare anche il nome della donna, tramite cui la discendenza viene portata avanti. La prima eccezione la troviamo quando si parla di Giuda – uno dei dodici figli di Giacobbe – con il quale continua la genealogia, facendo un salto. Non vengono nominati i figli avuti dalla moglie Sua, una cananea, che Giuda aveva sposato, una volta che aveva abbandonato la sua famiglia e si era trasferito a Canaan, ma i due gemelli avuti da Tamar. Chi è costei? La vicenda di Tamar è davvero molto intrigante e rappresenta uno dei tanti casi in cui Dio ripara alle debolezze degli uomini, facendo andare tutto per il meglio, secondo il detto: “Dio scrive dritto sulle righe storte”.

Tamar era una graziosa giovane cananea, che Giuda aveva scelto perché fosse la sposa del suo primogenito Er. Questo figlio di Giuda, che era nato e viveva in mezzo ai cananei e conduceva una vita che non era gradita davanti al Signore, morì dopo poco tempo che si era sposato, ma senza avere avuto figli. A questo punto, Giuda, seguendo le usanze del tempo, e volendo dare una discendenza ad Er, dà come sposo a Tamar il suo secondogenito, Onan. Questi non aveva alcuna voglia di lasciare una discendenza che appartenesse al fratello, ma ne voleva una che fosse solo sua, per cui, quando si univa alla moglie lasciava disperdere il seme, perché non rimanesse incinta. Questo comportamento, contrario alla legge di Dio, insieme ad altre colpe che non vengono nominate, portò alla fine anche Onan a morire, senza lasciare figli.

Visto quanto era successo ai suoi primi due figli, Giuda, pensando che ci fosse una specie di maledizione, ebbe paura di dare il più giovane ed ultimo dei suoi figli come sposo a Tamar, temendo che anche a lui andasse a finire male. Per cui, rivolgendosi alla nuora, le disse di tornarsene a casa, presso la sua famiglia, in attesa che il suo terzo figlio, Sela, fosse cresciuto, e potesse essere dato a lei come sposo. Ma in realtà Giuda non aveva affatto intenzione di darglielo, e lasciava passare gli anni senza prendere alcuna decisione in proposito. Quando Tamar vide che Sela era giunto ad una età che gli consentiva di potersi sposare, mantenere una famiglia e avere dei figli, ma che Giuda deviava sempre il discorso, decise di prendere in mano la situazione e trovare lei stessa una soluzione.

Nel frattempo venne a morire anche Sua, la moglie di Giuda e Tamar venne informata del fatto. Terminato il periodo del lutto, Giuda riprese la sua vita normale. Si avvicinava intento il periodo della tosatura del gregge, che nella vita dei pastori rappresentava un momento significativo di festa, anche per il fatto che il ricavato della lana costituiva una buona fonte di guadagno. Giuda va alla tosatura con il suo amico Chira di Adullam e partecipa alla festa comune, mangiando e bevendo allegramente. Ma per alcuni pastori la festa si prolungava con una nottata extra con qualche prostituta. Informata della cosa, Tamar, depone le vesti vedovili, e indossò un tipo di abbigliamento proprio delle prostitute sacre, coprendosi il volto con un velo. Quindi andò a sedere sulla strada che andava verso Timna, da dove doveva passare il suocero.

Giuda la scorse subito e, pensando che fosse una prostituta del luogo, si diresse verso di lei chiedendole di andare con lui. Tamar subito gli domandò: “Cosa mi dai per venire con te?”. “Ti manderò un capretto del gregge”, rispose Giuda. Tamar gli chiese un pegno, in attesa di ricevere il saldo: “Cosa vuoi come pegno?”, chiede Giuda. E Tamar risponde: «Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano». Giuda glieli diede, si unì a lei. E Tamar concepì da lui. Si ritirò subito a casa, si tolse il velo e rivestì gli abiti vedovili. Il giorno appresso Giuda mandò il capretto con il suo amico di Adullam per darlo alla donna e per riprendere il pegno che le aveva lasciato, ma questi non trovò nessuno sul posto. Allora domando agli uomini del luogo, se conoscevano la prostituta che stava sulla strada che va da Enain fino a Timna, ma quelli risposero che in quel luogo non c’era nessuna prostituta. Così Chira ritorna da Giuda raccontando come stavano le cose e che gli uomini del posto lo avevano assicurato che su quella strada non c’era stata mai alcuna prostituta.

Giuda dice all’amico che lui era testimone che egli era stato ai patti, ma non avevano trovato quella donna. Poi aggiunge: “Gli oggetti dati in pegno se li tenga pure. Non voglio che, se ci mettiamo a cercare, la gente debba malignare sul mio conto”. Circa tre mesi dopo, arriva a Giuda la notizia, condita da una dose di malignità: “La vedovella è incinta. Chissà con chi si è prostituita!”. A questo punto Giuda si infuria, armandosi di senso di giustizia: “Conducetela fuori, perché merita di essere bruciata”. Mentre la conducono fuori, Tamar si rivolge a dei testimoni dicendo loro: “Dite a mio suocero che sono incinta dell’uomo cui appartengono questi oggetti”. E aggiunge: “Riscontri di chi sono questo sigillo, questo cordone e questo bastone”. Appena Giuda vide quegli oggetti li riconobbe subito e disse: “Essa è più giusta di me, perché io non l’ho data a mio figlio Sela”. Quando giunse il tempo del parto, Tamar diede alla luce due gemelli, e li chiamò Peresh e Zerac.
(Genesi 38, 1-30)

P. Pino Licciardi

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