Stefano: primo martire cristiano

Quale il Maestro,tale il discepolo.

Il nome che porta lo fa riconoscere immediatamente come una persona di origine ellenistica, una di quelle che parlano quindi abitualmente la lingua greca, pur vivendo a Gerusalemme. E che questo non costituisca un fatto strano ce lo conferma la notizia che c’erano tra i membri della Chiesa nascente molti “greci”, come pure il fatto che si parla anche di sinagoghe che sono frequentate dai “greci”. Quindi si parla di una presenza non del tutto irrilevante. Il nome Stefano significa “coronato”, quasi a voler alludere in maniera misteriosa che questo discepolo sarebbe stato il primo tra i convertiti alla fede in Cristo Gesù a ricevere la corona del martirio. Dalla conoscenza che mostra di avere delle Sacre Scritture possiamo supporre che appartenva ad una delle famiglie di origine greca ma che professavano la religione dei Padri, quindi un ebreo di lingua greca. Inoltre la sua grande abilità oratoria e la sua capacità di convincere quelli che parlavano con lui, ci suggeriscono che avesse ricevuto una solida formazione culturale e religiosa nelle scuole di validi maestri rabbini, congiunta con uno straordinario carisma  personale.

            Il libro degli Atti degli Apostoli ci presenta Stefano in un momento davvero esaltante della vita della primitiva comunità dei discepoli che andava crescendo vigorosamente in forza della predicazione degli Apostoli. In quel momento di forte crescita delle conversioni alla fede in Cristo Gesù, era sorto un delicato problema all’interno della comunità che comprendeva non solo ebrei, cioè discepoli di origine ebraica, ma anche ellenisti, cioè che parlavano la lingua greca. Tra questi due gruppi era sorto un malcontento, nel senso che le vedove degli ellenisti erano trascurate rispetto a quelle ebree nella distribuzione dei beni. Molto probabilmente le persone incaricate a provvedere a quanti si trovavano in stato di necessità dovevano essere degli ebrei, che magari avevano poca conoscenza delle vedove degli ellenisti. Nello spirito di fraterna schiettezza che animava i credenti, la questione venne portata agli apostoli per trovare una soluzione adeguata. I Dodici fanno presente che il loro primario impegno era quello di dedicarsi “alla preghiera ed al ministero della parola“, e che occorrevano altre persone che si dedicassero al compito delicato dell’assistenza. Così suggerirono ai rappresentanti degli Ellenisti, che si scegliessero fra di loro sette persone reputate degne e capaci di assolvere a questo ministero della carità.

            E così vennero scelti sette uomini di buona reputazione, di cui il primo è Stefano, che ci viene descritto come “uomo pieno di fede e di Spirito Santo“, per come lo riconoscevano i fratelli nella fede. Essi vennero presentati “ai Dodici, i quali, dopo aver pregato,  imposero loro le mani“, per consacrarli al servizio della comunità, per cui vennero chiamati “diaconi”. Nonostante il loro compito ufficiale fosse quello di provvedere al servizio della mensa, essi tuttavia si dedicavano anche alla predicazione del vangelo, dando man forte ai Dodici. Così “la Parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme” e tra di essi molti sacerdoti del tempio. L’attività di Stefano era benedetta da Dio in maniera singolare. Egli, infatti, “pieno di grazia e di fortezza“, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. Possiamo solo immaginare quanto fosse efficace l’impatto della sua predicazione accompagnata da questi grandi segni che il Signore gli dava di compiere nel suo nome. Stefano si dedicava alla evangelizzazione degli ebrei che provenivano dalla Diaspora, cioè dalle comunità ebree di lingua greca, originarie, o anche solo di passaggio a Gerusalemme, dalla Siria, dalla Cirenaica e dall’Asia, che facevano riferimento alla sinagoga dei “Liberti”, formata da ebrei di lingua greca affrancati dalla schiavitù.

            Questi non riuscivano a sostenere la potenza della parola ispirata di Stefano, e così sobillarono alcuni ebrei che cominciarono a portare false accuse contro Stefano, in modo da farlo condannare. Così, popolo, anziani e scribi si unirono insieme, provocando l’intervento del Sinedrio che mandò i suoi sgherri a prendere Stefano, che venne condotto di fronte al tribunale degli ebrei. Sembra di rileggere proprio alcune pagine del Vangelo che riguardano la cattura, e le accuse davanti al Sinedrio che vennero portate contro Gesù. Stefano veniva accusato di aver pronunciato delle parole blasfeme contro il Tempio e contro la Legge e di aver affermato che Gesù il Nazareno sarebbe tornato a distruggere il luogo Santo come pure a sovvertire i costumi tramandati da Mosè. Accuse di questo genere erano gravissime davanti al giudizio popolare. Così il Sommo Sacerdote gli chiese se erano vere tutte quelle accuse. Nel frattempo, dinanzi a tutti i membri del Sinedrio, il volto di Stefano apparve trasfigurato come quello di un angelo, e rispondendo al sommo Sacerdote egli parlò con una sapienza ed una forza di eloquenza così straordinaria che non potevano resistere alle sue parole. Davvero, secondo la promessa di Gesù, lo Spirito Santo metteva sulle labbra di Stefano parole che penetravano quei cuori induriti, incapaci di  sopportarle, tanto che si tappavano le orecchie per non ascoltarlo.

            Le ultime parole erano di severa e dura condanna: “O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo… avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l’avete osservata“. Poi con tono ispirato e guardando verso il cielo, soggiunse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Pieni di livore lo afferrarono nel bel mezzo del Sinedrio e lo condussero fuori per lapidarlo, complici tutti i membri e il sommo sacerdote. Per compiere più agevolmente la loro opera omicida, deposero i mantelli ai piedi di un giovane di nome Saulo, che assisteva compiaciuto all’esecuzione: un linciaggio in piena regola. Mentre veniva lapidato Stefano pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”. “Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.” Questa toccante testimonianza degli Atti ci fa vedere la figura di Stefano in controluce con la figura di Gesù, il Maestro, da lui amato, che egli ha cercato di seguire nella sua nuova esistenza di uomo rigenerato secondo lo Spirito ed al quale ha voluto conformare la sua esistenza, sia rendendo testimonianza al suo nome, sia imitandolo nella sua morte, perdonando i nemici ed affidandogli il suo spirito.

            Giuseppe Licciardi  (Padre Pino)

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