Siate perfetti come il Padre vostro…

Davvero Dio ci chiede di essere perfetti?

Vi siete mai confrontati con questa frase? Vi siete mai chiesto cosa c’entrano (queste parole) con tutto il contesto evangelico e con la misericordia di Dio?
Può Dio, conoscendo la creatura da Lui stesso creata, pretendere da essa la perfezione?
Ebbene, questa frase –  accompagnata da quella che ci dice che siamo destinati tutti a diventare santi – ossessionatamene rivolta ai fedeli di tutti i secoli ha un suono stridente che cozza con la natura umana e con la storia della salvezza. Per carità, non metto in dubbio che sia uscita dalla bocca stessa di Gesù ma credo che sia improponibile e controproducente.  Come può la Chiesa, formata da uomini imperfetti pretendere la perfezione dai credenti? Come può un credente avere la presunzione di diventare perfetto come Colui che lo ha creato, quando dopo la sua caduta ( o peccato originale) non fa altro che bramare di essere partecipe della redenzione promessa da Gesù per mezzo della croce e quindi affidarsi alla sua misericordia?
Analizziamo dal punto di vista psicologico l’effetto disarmante e controproducente del concetto di perfezione. Come non  può non sentirsi  inadeguata una persona dalla quale si pretende la perfezione. Come non può non sentirsi in colpa quando come modello di riferimento si propone Dio stesso, l’amore che per rendersi visibile agli uomini decide di incarnarsi in Gesù Cristo? Perché pretendere la perfezione che non appartiene nemmeno ai Santi? Non mi risulta che Padre Pio fosse  perfetto (vedi il suo carattere) e perfino  la Madonna stessa e San Giuseppe, che giustamente decantiamo come modello di santità,   per prendere certe decisioni difficili hanno avuto il privilegio di essere assistiti dall’angelo Gabriele.
Perfino Gesù  ha provato sentimenti di ira (al mercato), di solitudine (nell’orto degli ulivi)  di inusuale rabbia (“sarebbe meglio per lui che gli venga messo un cappio al collo…..”)  e di disperazione ( “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato.”).

Giudizio-Universale

Il  celibato – imposto dal Concilio  di Trento del 1545 e ritenuto modello di perfezione – cozza contro la natura stessa degli uomini e se non scelto come vocazione può causare frustrazioni che se non vengono canalizzate in maniera adeguata rischiano di tramutarsi in atteggiamenti devianti. Il concetto di perfezione ha riempito in maniera ingiustificata i confessionali e fatto prosperare gli iscritti all’albo degli psicologi.  Ho avuto sempre paura della perfezione e bisogna ammettere che milioni di uomini e (soprattutto) donne non hanno vissuto appieno la propria vita perché privati della loro stessa natura. Sarebbe il caso di  superare il bisogno di fingere di essere perfetti e la paura di venire rifiutati semplicemente perché non lo siamo. Bisogna accettare noi stessi e gli altri, anche se siamo e sono diversi da come vorremmo. L’idea di perfezione ha prodotto solo danni e ha creato barriere insormontabili. Ha prodotto e produce danni nel campo dell’educazione quando alcuni genitori hanno preteso e pretendono dai loro figli il massimo: “dovete essere i più bravi a scuola, dovete essere i numeri uno nello sport, dovete essere impeccabili dal punto di vista morale e guai se vi permettete di sbagliare”. Per non parlare dei danni perpetrati da alcuni catechisti che (ancora oggi) insegnano ai poveri fanciulli che commettere atti impuri o desiderare la roba degli altri equivale ad uccidere perché (alcuni di essi) ritengono che, in quanto comandamenti,  siano tutte e tre peccati mortali.
Molti di noi continuano a pretendere la perfezione da se stessi e dagli altri;  infatti  il danno più grave prodotto dall’idea di perfezione riguarda il mondo delle relazioni umane. Chi vuole percorrere il sentiero della perfezione pretende di coinvolgere più persone possibili in un percorso costellato  dalla nevrosi e dalla presenza ossessionante di demoni, e l’unica sorte è quella di finire nel baratro della follia. Questa pretesa di perfezione ci rende giudici dei nostri simili e ci tiene lontani da qualsiasi forma di intimità. Infatti molti mariti e molte donne pretendono coniugi perfetti. Perfino i figli pretendono che i genitori siano perfetti e infatti dopo il periodo dell’incanto arriva quello della disillusione.
Durante il fidanzamento i fidanzati, invece di rendersi trasparenti e lasciare emergere sia i pregi che i difetti,  tendono a mostrare i primi e ad  occultare i secondi coltivando l’immaginario a scapito della verità. La rincorsa alla perfezione ha prodotto ideologie aberranti  che si prefiggevano di costruire una razza pura ed eliminare quella ritenuta inferiore.  Il concetto di perfezione è (ovviamente) entrato prepotentemente nel campo dell’estetica e molti cinquantenni (soprattutto donne) occultano i segni del tempo e si affidano ai chirurghi plastici. Le rughe diventano un fattore discriminante perché ci indicano che non siamo più giovani, quindi  anziché accettarle ed identificarci con esse –  segni che, simili a rocce levigate  dal tempo e  che ci rendono unici, rimandano al passato e parlano di noi, della nostra vita e del nostro vissuto – si tende a cancellarli e a farli fuori perché ritenute ingombranti e improponibili al confronto di  una società di narcisi in cui  i rapporti umani e il valore delle persone si misurano in “bellezza”.

 Giuseppe Compagno



 

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