COMUNIONE COL PANE E COL VINO:
DIRITTO DI TUTTI I FEDELI
Saverio carissimo, dopo anni di allontanamento mi sono riavvicinato alla chiesa, perché non dirlo, grazie alle catechesi di preparazione alla Cresima. Sto imparando molte cose per me nuove ed è stato piacevole partecipare alle funzioni liturgiche di queste grandi feste Pasquali.
Ho però un dubbio: Visto che con la comunione si fa memoria dell’ultima cena di Gesù che ha dato il suo corpo e il suo sangue per la salvezza degli uomini, perché a noi fedeli viene data l’eucarestia solo con l’ostia?
Paolo
Caro Paolo, hai toccato un punto dolente del modo di amministrare il grande sacramento della Eucarestia, infatti nella maggior parte delle nostre chiese ancora si tende a distribuire la santa comunione solo col pane o meglio dire con l’ostia consacrata. Hai ragione, non è il modo più fedele perché è evidente che si trascura il preciso comando del Signore: «prendete e mangiatene tutti… prendete e bevetene tutti… fate questo in memoria di me!»
All’inizio non era così, infatti i primi cristiani avevano recepito perfettamente il comando di Gesù ed hanno celebrato sin dal principio la comunione col pane consacrato e col vino e tutti i fedeli, dopo il celebrante si accostavano al calice dopo avere ricevuto il pane santificato. Lo attesta già san Paolo più volte nelle sue lettere e poi le prime testimonianze cristiane, s. Giustino (II sec), s. Ignazio di Antiochia (II sec), le Costituzioni Apostoliche (IV sec):
«Il vescovo comunichi se stesso e poi i sacerdoti… ed infine tutto il popolo in buon ordine, con rispetto, in adorazione e senza chiasso. Il vescovo poi dia l’oblazione dicendo “il corpo di Cristo” e chi lo riceve dica “Amen”. Il diacono tenga il calice e porgendolo dica “il sangue di Cristo, calice di vita” e chi beve dica Amen.»
Bere al calice è stata ed è certamente la forma più espressiva di questo rito, ma in certi casi per ragioni di igiene o di comodità, si è fatto ricorso all’uso della cannuccia, del cucchiaino o dell’intinzione (immergendo il pane consacrato nel preziosissimo Sangue.
La pratica di privare i fedeli del calice col vino risale al tardo Medio Evo e solamente presso la chiesa Occidentale dal momento che la chiesa Orientale è rimasta sempre fedele al comando del Signore e tutt’oggi in ogni santa messa, consacra e distribuisce a tutti i fedeli il pane ed il vino.
La fedeltà al comando del Signore per questo aspetto è rimasta integra fino alle speculazioni teologiche del XIII secolo che via via hanno allontanato sempre più i laici dalla comunione: il timore, la novità dell’obbligo della confessione preliminare, l’esigenza della continenza per le persone sposate… .
Questi e tanti altri impedimenti hanno tracciato un solco sempre più profondo tra il clero ed i fedeli nella partecipazione attiva alla liturgia ed i celebranti sono diventati gli unici attori della celebrazione, riducendo i laici a quegli assistenti così passivi di cui i libri liturgici non menzionavano nemmeno più la presenza.
Questa esclusione del popolo dalla ricchezza della liturgia ha trovato un appiglio considerevole nella speculazione teologica di san Tommaso il quale a proposito della comunione col pane e col vino ha determinato la cesura completa tra celebrante e popolo aprendo la strada alla scorciatoia della comunione col solo pane e ben presto nemmeno con quello, visto che la partecipazione del popolo era diventata del tutto ininfluente.
Sentite cosa risponde s. Tommaso al papa Gelasio che aveva obbligato la pratica della comunione al calice dal momento che qualcuno cominiciava ad astenersi:
“Sappiamo che alcuni, ricevuta soltanto la porzione del sacro corpo, si astengono dal calice del sangue consacrato. Costoro quindi, guidati senza dubbio da chi sa quale superstizione, o ricevano per intero i sacramenti o se ne astengano per intero”. Non è dunque permesso di ricevere il corpo di Cristo senza il suo sangue.
Risponde Tommaso: Sull’uso di questo sacramento si possono considerare due cose: una da parte del sacramento stesso, l’altra da parte di coloro che lo ricevono. Da parte del sacramento stesso conviene che si riceva sia il corpo che il sangue: perché l’integrità del sacramento li implica entrambi. Perciò il sacerdote, avendo il compito di consacrare e di consumare nella sua integrità questo sacramento, non deve mai assumere il corpo di Cristo senza il sangue.
Da parte invece di coloro che si comunicano occorre somma riverenza e cautela, perché non accada nulla che offenda un così grande mistero. Ciò potrebbe verificarsi specialmente nella distribuzione del sangue, perché, prendendolo senza le debite precauzioni, potrebbe facilmente versarsi. E poiché nel popolo cristiano, che è andato moltiplicandosi, ci sono e vecchi e giovani e bambini, alcuni dei quali non sono tanto accorti da usare le necessarie cautele nel ricevere questo sacramento, prudentemente in alcune chiese si usa di non dare al popolo il sangue, ma di farlo consumare dal sacerdote soltanto.
2. Il compimento di questo sacramento non si ha nella comunione dei fedeli, ma nella consacrazione della materia. Perciò non si toglie nulla alla perfezione di questo sacramento, se il popolo riceve il corpo senza il sangue, purché il sacerdote consacrante riceva l’uno e l’altro
3. La rappresentazione della passione del Signore si ha nella consacrazione stessa di questo sacramento, nella quale non si può mai consacrare il corpo senza il sangue. Il popolo invece può ricevere il corpo senza il sangue, senza che ne derivi nessun inconveniente.
Perché il sacerdote offre e consuma il sangue a nome di tutti; inoltre perché, come abbiamo spiegato, in ciascuna delle due specie Cristo è contenuto per intero. (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, III p, q. 80, art. 12)
Sulla stessa linea si è orientato il Concilio di Trento, preoccupato di difendere la fede cattolica contro le accuse della Riforma protestante.
Da allora sono passati 500 anni e due concilii. Il mondo è cambiato, la teologia è cambiata, la liturgia si è rinnovata, riportando giustamente i fedeli al posto di compartecipatori attivi alle celebrazioni, la cultura è aumentata e nonostante tutto nelle nostre chiese si continua a distribuire la comunione in una sola specie!
La verità e il valore simbolico di pane e vino non sono questioncelle (cioè questioni irrilevanti come qualcuno potrebbe pensare): La fedeltà evangelica, massima nel racconto della cena, implica anche l’attenzione ai segni conviviali e sacramentali dell’eucarestia. (R. Falsini, Vita Pastorale, 2002/12)
Si ha paura ad ammettere che questo modo di amministrare il Sacramento eucaristico, benché legittimo in particolari casi, è sicuramente incompleto e sottolinea in maniera eccessiva la distanza tra il celebrante e i fedeli nella partecipazione alla messa. Tutte le spiegazioni “teologiche” sulla presenza di Gesù tutto intero in entrambe le specie, o la partecipazione spirituale del fedele o altre ragioni di circostanza, risultano semplicemente delle speculazioni filosofiche, un moltiplicare le parole in contraddizione alla Parola, quella semplice, diretta e chiarissima che i Vangeli ci hanno tramandato: «prendete e mangiatene tutti… prendete e bevetene tutti… fate questo in memoria di me»
Cos’altro c’è da capire? Cosa da interpretare?
La chiesa istituzionale lo ha capito e molto bene, lo afferma già nell’ultimo Concilio quando, in certi casi, restaura l’accesso al calice da parte dei fedeli (SC 55) ed in seguito nell’Istruzione Eucharisticum mysterium afferma che:
«La santa comunione, relativamente al segno, ha forma più piena quando viene amministrata sotto le due specie. In questa forma, infatti… risulta più evidente il segno del convito eucaristico, mentre si esprime più chiaramente la volontà secondo cui il nuovo ed eterno testamento è ratificato nel sangue del Signore, nonché il rapporto tra il convito escatologico nel regno del Padre» (n.32)
Sulla stessa linea si schiera il Nuovo Messale, “La santa Comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. In essa risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico” [Principi e norme per l’uso del Messale Romano, 240], e così il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Sembra così evidente che davvero non si capisce la ragione di questa resistenza. Perché? I sacerdoti onesti lo ammettono: per convenienza. È più semplice, richiede meno tempo, ci si può fare aiutare da ministri straordinari dell’eucarestia. Uno solo è il motivo, la comodità del celebrante.
È davvero insignificante come motivazione. Intanto è così e dobbiamo adeguarci ma non accondiscendere. Il guaio è che noi fedeli troppo spesso siamo passivi e conosciamo poco la sacra liturgia ed il significato dei gesti e dei segni ai quali partecipiamo tutte le domeniche. Siamo noi che dobbiamo chiedere ai nostri sacerdoti e ai nostri vescovi di restituirci la prassi sacramentale così come ci è stata tramandata. Chiediamolo, con carità ma con fermezza.
Nella introduzione del Nuovo Messale l’assemblea tutta intera viene presentata come il primo attore della celebrazione ed i sacerdoti vengono richiamati insistentemente a considerare il bene spirituale dei fedeli più che le proprie idee personali ed anche a ricercare l’accordo degli stessi laici per quello che li riguarda più da vicino (cf. n. 313).Dunque fratelli cristiani dipende da noi.
Se qualcuno ha ancora qualche dubbio ecco la preghiera che il sacerdote innalza a Dio durante la consacrazione:
La vigilia della sua passione, egli prese il pane… e disse: Prendete, e mangiatene tutti:
questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi.
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice… e disse: Prendete, e bevetene tutti:
questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti
in remissione dei peccati.
Fate questo in memoria di me.
Ogni giorno, in ogni santa messa, il sacerdote prega con queste parole e, per opera dello Spirito Santo, avviene il miracolo straordinario: il pane e il vino diventano per noi corpo e sangue di Cristo.
Poi, dopo che egli stesso si è cibato del corpo e del sangue di nostro Signore, si avvia verso i fedeli e distribuisce solo l’ostia consacrata.
Eppure quel sangue benedetto è stato versato per noi. Per tutti.
«Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. » Gv 6, 53-56
Saverio Schirò
Cf. R. CABIE’, L’Eucaristia, in A.G. MARTIMORT, La chiesa in preghiera, Introduzione alla Liturgia, Brescia 1985;
R. BARILE, Padre Falsini, a domanda risponde, L’eucaristia (2000-2008), Vita Pastorale, Alba 2009.
Per saperne di più puoi leggere:
“LA COMUNIONE SOTTO LE DUE SPECIE”
Buongiorno desidero sapere se le ostie che si trovano nella pisside nel tabernacolo sono già consacrate o vengono consacrate all’atto della celebrazione della santa messa nel cosiddetto “memoriale”. spero di essere stato chiaro nel formulare la domanda.
Pace e bene.
Andrea
Caro Andrea, le ostie conservate nel tabernacolo sono già consacrate in messe precedenti e conservate perché per abitudine si consacrano particole “in abbondanza”. Anche questa è una prassi caldamente sconsigliata dalle note dell’ultimo Concilio e nella prefazione dell’ultimo messale e regolarmente disattesa. La ragione è ovvia: nel rito dell’offertorio insieme al pane e vino frutto del nostro lavoro, vengono offerte simbolicamente le nostre vite, con le nostre fatiche e speranze; dunque in quel pane e quel vino consacrati oltre Gesù c’è simbolicamente un po’ di noi. Tutto questo perde il senso se all’atto della comunione ci cibiamo del frutto di un’altra celebrazione alla quale non abbiamo partecipato. Lo capiamo tutti, lo raccomandano le stesse note liturgiche eppure…