Per chi legge il Vangelo, perdonare i fratelli è un punto essenziale del messaggio di Gesù. Anzi, oltre ad amare, l’unica condizione che viene chiesta, anzi pretesa, è il perdonare coloro che commettono delle mancanze nei nostri confronti.
Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” conclude Matteo dopo il Padre Nostro (Mt 6,14-15). E aggiunge “70 volte 7“, cioè sempre, sottolinea Gesù a Pietro che voleva amplificare l’indicazione dell’Antico Testamento perdonando il fratello ben 7 volte!
Questa condizione del perdonare ha generato moltissimi equivoci nei cristiani. Dai pulpiti delle chiese sentiamo dire che “noi”, dobbiamo perdonare tutti incondizionatamente, con tutta quella serie di casistiche che rendono questo passaggio praticamente impraticabile. “Ma come posso perdonare davanti a colpe gravissime contro me stesso, i miei figli, i deboli….?” Impossibile! E a volte lo è davvero impossibile. E allora ci chiudiamo, ci ritiriamo tristi dentro quello che da offesa subita diventa senso di colpa per un perdono che non sappiamo concedere.
Ma davvero è questo che il Vangelo ci chiede?
Notiamo qualche passaggio e poi facciamo alcune considerazioni.
Matteo (18, 21-35) parla della necessità di perdonare fino a 70 volte sette il fratello che commette delle colpe contro un altro fratello e racconta la parabola de i due debitori. Notiamo intanto che in questo caso la pratica del perdono riguarda la Comunità cristiana: parla infatti di “fratello“. Questo crea una delimitazione e una collocazione dell’episodio evangelico ad un periodo successivo alla predicazione di Gesù. In effetti Gesù parla solo di amore e di amare tutti indistintamente e solo all’interno di questo contesto si parla di perdonare, cioè continuare ad amare anche chi non fa nulla per meritarlo.
Ovviamente questo non significa ignorare gli sbagli altrui se riguardano terzi, come gli altri servitori che si indignano davanti alla crudeltà del servo maligno che sbatte in carcere il fratello debitore.
Luca (17, 3-4) nel passo parallelo fa delle precisazioni: “State attenti a voi stessi! Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai”.
Siamo in linea con il passo di Matteo: si parla di “fratello” e dunque il contesto è quello comunitario. In più, in questo caso il perdono viene concesso a condizione che colui che sbaglia si penta, e chieda il perdono.
Nella stessa parabola riportata da Matteo, il re non fa finta di niente davanti al debito del servitore, 10.000 talenti, ne chiede la restituzione e solo davanti alla richiesta del servo debitore gli condona tutto.
Se qualcuno mi procura del male e rimane nella sua condotta negativa nei miei confronti, il perdono che potrei dargli è solo teorico. E francamente inutile. Se si pente e torna, allora il discorso è un altro.
Questo alleggerisce molti sensi di colpa. D’altronde è di una estrema ovvietà: lo stesso Gesù lascia libere le persone di seguire le proprie inclinazioni e fare le proprie scelte. Non si impone a nessuno, ma solo si propone per chi vuole seguirlo.
Se vuoi ti accoglie, ma solo se vuoi, se non vuoi, ti lascia continuare per la tua strada. Anche se sbagliata.
A me sembra un po’ la stessa cosa: se mi hai fatto del male e vuoi tornare, io sono pronto ad accoglierti. Ma se non vuoi, continua la tua strada. Io sono sempre qui ad aspettarti.
Mi sembra questo il messaggio del Vangelo, e questo diventa una percorso percorribile a tutti. Certamente a coloro che vogliono impostare la propria vita sull’amore.

Saverio Schirò

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