Dal vangelo secondo Matteo: 7,21-23 (cf Lc 13,22-30)
Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?
Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Questo brano del Vangelo di Matteo (Cf Lc 13, 22-30) è molto interessante perché spiega con una apparente contraddizione quale deve essere il senso e la ragione della nostra religione, del nostro essere cristiani.
Non chiunque mi dice: Signore, Signore… indica chiaramente l’invocazione Kyrie, l’appellativo che già i primi cristiani avevano applicato a Gesù nello sviluppo della liturgia.
Il termine, usato ancora oggi con lo stesso significato, rimanda immediatamente alla preghiera in generale e, con qualche sfumatura, a quella liturgica.
Dunque la sola preghiera, quantunque fosse abbellita e resa solenne da paramenti e cori e incensi e quant’altro, non è garanzia di partecipazione al Regno di Dio.
E davvero, troppe volte, la nostra preghiera è fatta solo di parole, di formule belle e pronte da innalzare a colui che chiamiamo Dio ma che di fatto non è il Signore della nostra vita.
E davvero troppe volte la nostra bella liturgia mette al centro l’apparenza esteriore fatta di cerimoniali perfetti, di sfavillio di ori, sfoggio di canti armoniosi e formulari eccellenti (che quasi nessuno comprende perché sono lontani anni luce dal comune modo di parlare e di sentire) e quel “Signore” che viene invocato, invece di essere avvicinato alla gente, viene celato, sepolto da tutta questa impalcatura; viene separato perché chi lo rappresenta sta sull’altare nel presbiterio, mentre la gente “comune” ne viene tenuta lontana, sta giù: la barriera fisica delle balaustre è stata rimossa, ma quella mentale è ancora presente in molti casi!
Gesù lo sapeva bene e Matteo deve averlo sperimentato già nelle prime comunità.
Ci sembra che stiamo pregando, ma in realtà sono solo gesti e parole che nascono da noi stessi e non bucano le nuvole, come ricordava Carlo Carretto nel suo libro “Lettere dal deserto”.
Chi entrerà, dunque, nel Regno dei cieli?
Colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Ovvio. Ma qui casca l’asino!
”Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti!”
Qua sembra che non ci capiamo più niente: ma se aveva detto un momento prima che per entrare nel Regno bisognava “fare”, perché questi che “hanno fatto”, adesso li allontana?
È specificato benissimo: «abbiamo fatto quello che proprio tu ci hai comandato (andate ad annunziare, andate a cacciare demòni, a guarire dalle malattie) e lo abbiamo fatto proprio nel tuo nome. Perché adesso ci allontani?»
Sembra davvero un Dio capriccioso.
Invece, attenzione: è un Dio che conosce i cuori, e li conosce bene.
Fare la volontà del Padre è molto di più dell’eseguire degli ordini o del compiere delle azioni, quantunque possano apparire buone.
Fare la volontà del Padre equivale ad amare Gesù Cristo, essere suoi discepoli, lasciarsi rivestire da lui, lasciarlo vivere dentro di noi.
Ecco cosa vuol dire Gesù è il Signore: è il Signore, il padrone (termine forte che fa storcere il naso) della mia vita.
Dire Signore (e a quei tempi lo capivano benissimo) equivale a dire “padrone” perché il signore aveva dei possedimenti e soprattutto aveva dei servi che gli appartenevano, perché i servi, gli schiavi, si compravano e si vendevano.
Oggi a noi fa impressione e tuttavia tante volte Gesù applica il termine “servi” ai suoi discepoli. L’idea ci umilia così tanto che nessuno si sottometterebbe volontariamente a nessun padrone, così vale anche per Gesù: lo chiamiamo Signore, Signore, ma non abbiamo nessuna intenzione a sottometterci. Al massimo lo accettiamo come Maestro, ma siamo sempre pronti a contestarlo.
Allora, vogliamo attraversare quella porta stretta che conduce al Regno di Dio? A qualcuno interessa ancora?
Se sì, sappiamo adesso che quel che conta non sono le parole (Signore, Signore) e neppure i fatti (abbiamo fatto questo e quest’altro): contano le motivazioni. Perché lo faccio! Ecco qual è la chiave per interpretare questo punto.
Conta il perché, la motivazione che mi spinge a dire una parola e a compiere un gesto. Se il motivo è qualsiasi altro da quello dell’amore, allora è un gesto inutile, insufficiente.
Se prego perché amo, allora ha un senso; se ti annunzio la buona novella perché ti amo, allora va bene; se scaccio da te un demone perché ti voglio liberare, allora è giusto; se ti guarisco perché soffro insieme a te e voglio aiutarti, allora ti promuovo.
Altrimenti siamo solo “cembali squillanti”!
Per questo la misura del mio essere cristiano, cioè discepolo di Gesù, è solo l’amore che mi muove (mi motiva) e se ogni giorno non divento o tento di diventare più buono, forse sto solo illudendomi di essere cristiano e “quel giorno” rischio di trovare chiusa la porta del Regno di Dio.
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
1 Cor 13,1-3
Saverio Schirò
Commenti
Penso che questa sia la strada giusta per varcare quella porta stretta che tanto ci fa paura e ci fa rimanere lì senza prendere la vera decisione importante, e cioè quella di donarci a lui.
Penso anche sia auspicabile, per la stessa crescita di fede, che tutti noi cosiddetti “praticanti”, possiamo davvero “mettere in pratica” nella liturgia quella fede che professiamo a parole, e riscoprire quella dimensione sacerdotale che, tramite il battesimo, Cristo ha trasmesso a ciascuno di noi.