Il mio rapporto con il pianto

Ho visto morire molte persone. Bambini, adulti, uomini e donne.
Nel 1988, ho visto morire mia cognata a 30 anni, dopo 5 anni di sofferenza per un tumore al seno. Ho visto morire i miei nonni materni, ho visto morire mio padre, in un letto del pronto soccorso, ed ho visto il suo elettrocardiogramma appiattirsi inesorabilmente.
Ho visto morire Massimo, il marito di mia cognata, dopo 10 anni di calvario per la SLA che lo ha inchiodato come un corpo senza anima e senza voce su una poltrona. 
Non sono stato capace di versare neppure una lacrima… Il cuore straziato e gli occhi asciutti.
Eppure se ascolto un discorso strappalacrime o vedo una scena commovente in un film di quart’ordine i miei occhi si riempiono di lacrime che mi premuro a nascondere.
Ho un rapporto molto complicato con il pianto, un rapporto che parte da molto, molto lontano.
Uno dei ricordi più antichi della mia vita risale a quando avevo pochi anni, forse  4 o 5, quando ogni sera prima di addormentarmi chiamavo la mia mamma e le dicevo: “mamma, mi viene da piangere”. Lei sorrideva e rispondeva: “e piangi!” ed io mi addormentavo piangendo. Ogni sera, non so per quanto tempo.
Ho un ricordo di quando avevo 9 anni ed ero in un collegio che doveva “aiutare a rinforzarmi” perché ero molto magro. Un’esperienza allucinante. Non piangevo mai di giorno, neppure quando straziato vedevo i miei genitori allontanarsi la domenica lasciandomi lì da solo. Piangevo la sera, prima di addormentarmi, solo nel mio letto nella camerata. Sempre lo stesso pensiero ricorrente, quello che sin da piccolo affollava i miei pensieri di bambino: immaginavo il giorno in cui mia madre sarebbe morta ed io non avrei sopportato il dolore e sarei morto con lei.
Non ho mai confessato a nessuno questa debolezza, se non da adulto quando ho ricordato il motivo che avevo rimosso. Ma ormai era un ricordo troppo lontano.
Questa debolezza mi ha accompagnato anche negli anni successivi dell’infanzia. I miei fratelli mi prendevano in giro, anche mio padre a volte. Mi chiamavano “la Madonna delle lacrime” e bastava che mi incitassero ripetendo più volte “piangi! piangi!” che mi scioglievo in lacrime e loro ridevano.
Il mio orgoglio di bambino veniva umiliato e ferito continuamente, anche se inconsapevolmente credo, perché i miei fratelli maggiori mi volevano bene, ne sono sicuro. Però la mia piccola testolina innocente ne è rimasta profondamente turbata lo stesso. Dall’adolescenza, infatti, i miei occhi si sono corazzati e sono diventati incapaci di versare anche una sola lacrima. Per lo meno per i dolori “pubblici”, comprese le tragedie della morte che ho vissuto.
Non so bene quali conseguenze possano avere causato nel mio carattere queste umiliazioni e come possono avere influito in quello che da allora sono diventato, però non è stato qualcosa di irrilevante per la mia vita.
L’ultima e l’unica volta in cui ho pianto veramente, una sorta di grido liberatorio, con lacrime e singhiozzi, è avvenuta il 4 gennaio 1992. Una sera. Mia moglie era incinta di nove mesi di Mirko, il secondo figlio e Samuele aveva 4 anni, ed era malato. Una normale semplice influenza. Aveva la febbre alta e mentre gli raccontavo una favola per conciliare il sonno, l’ho visto improvvisamente con gli occhi sbarrati, smettere di respirare.
L’ho visto morto nelle mie mani e mentre mia moglie, preoccupata dall’improvviso silenzio, si avvicinava per chiedere cosa succedesse, le gridai di allontanarsi “a pregare” mentre cominciavo una respirazione bocca a bocca al bambino esanime. Non so cosa sia successo, ma ricordo che ero freddo e determinato a non lasciarlo andare e dopo alcuni interminabili secondi di respirazione forzata, lo sentii finalmente respirare di nuovo e poi vomitare.
E mentre ci vestivamo per correre in ospedale, ma già si era ripreso, scoppiai in singhiozzi tra le braccia di mia suocera che era accorsa ma non aveva capito nulla.

Saverio Schirò

2 COMMENTI

  1. Ciao Saverio anche io da piccola ho sempre avuto la lacrima facile tanto che mia nonna mi diceva sempre che da grande avrei potuto fare l”attrice.
    Per la verità anche ora che sono adulta nn riesco a trattenermi dal pianto, mi commuovo facilmente quando vedo un film, quando guardo le foto di mia figlia piccolina, i suoi primi vestitini che nn riesco ancora a buttare. Ricordo l’emozione mentre li stiravo e la sentivo muoversi nel pancione. Quel giorno ho pianto. Mi commuovo quando vedo qualcuno che mi da la precedenza a un incrocio o al supermercato ti fanno passare avanti perché hai due cose in mano certo nn mi metto a piangere ma mi commuovo si perché ormai sono poche le persone gentili e quando le incontro penso che ancora qualche persona buona c’è in questo mondo dove la cattiveria abbonda.
    Credo nn ci sia nulla di male a dare sfogo alle lacrime che siano di gioia o di dolore.

    • E’ vero Letizia, piangere di commozione indica una bella sensibilità, purtroppo in questo nostro mondo una donna che piange fa tenerezza, un uomo invece appare come un debole. Ma viva la sensibilità e non importa cosa pensano gli altri!

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