Liturgia domenicale, tradizione e Vangelo

Un appunto sul culto della liturgia domenicale

Partecipando alla Messa domenicale, mi è capitato di notare come spesso i fedeli ripetono “a pappagallo” le loro risposte: si pensa ad altro mentre si recita il Gloria; non si fa attenzione a quello che si dice quando si proclama il Credo; si sbagliano gli accenti quando si prega il Padre Nostro e così via. Ma risulta più triste vedere il celebrante quando cade nella stessa superficialità: mentre prega, invoca, benedice (in realtà in questi casi “recita”) non presta attenzione a quello che legge, controlla chi arriva in ritardo, verifica l’abbigliamento delle fedeli, dialoga con gli occhi col corista, col sagrestano, con chi deve raccogliere le offerte o peggio ancora impartisce ordini al chierichetto o a qualcuno chiamato all’altare, mentre sta recitando (lo possiamo dire tranquillamente) il Gloria, il Credo o il Pater. L’ho visto coi miei occhi!
Ecco, questo è un “popolo che mi onora con la bocca ma il suo cuore è lontano da me”.
La domenica liturgica è senza dubbio l’atto di culto per eccellenza, affondando le sue radici sull’evento pasquale. Ora, durante i secoli, questa celebrazione ha corso più volte il rischio di perdere il suo profondo senso religioso a favore di una ritualità celebrata perfettamente, ma solo nei suoi gesti esteriori: la sfarzosità dei paramenti sacri, la gestualità ripetitiva, la coralità impeccabile dei cantori, che talvolta finiscono per esasperare la perfezione dell celebrazione ammantandola di un che di spettacolare.
La liturgia dovrebbe essere vissuta all’insegna della preghiera, cioè dovrebbe essere il “ponte” che unisce l’uomo a Dio; ma se non c’è partecipazione, se non c’è intenzione, se non c’è il “cuore” allora tutto è vano, è soltanto uno spettacolo più o meno ben rappresentato: una farsa per chi lo compie e magia per chi vi partecipa.

E quando la tradizione prende il sopravvento sul Vangelo?
Checchè se ne dica, fin dagli inizi della sua vita pubblica Gesù ha affermato la propria indipendenza nei confronti della tradizione legalistica del suo tempo.
Anzi questo è stato uno dei punti di frizione e di contrasto fra Gesù e i sapienti del suo tempo: farisei e dottori della legge. Certo,  Gesù afferma chiaramente  che la Legge e i Profeti non devono essere aboliti, ma portati a compimento (Mt 5,17), ma contemporaneamente ingaggia una lotta serrata contro certe «tradizioni degli antichi», che sono il risultato di invenzioni puramente umane.
Queste tendenze non riguardano solo il passato, il Vangelo è vivo e attuale ieri, oggi e sempre, dunque queste accuse, di cui il 7 capitolo di Marco è un emblema, si riferiscono ad una tentazione continuamente risorgente anche presso le persone e le istituzioni di ogni epoca.
Non è un modo di agire farisaico oggi, quello della Chiesa quando esagera nell’assolutizzare la legalità, il precetto, l’esteriorità, più preoccupata di ubbidire passivamente a norme ricevute, che di dare una risposta personale e responsabile alle chiamate di Dio e alle invocazioni dei fedeli?
Così le resistenze di molti gruppi al rinnovamento conciliare, alcuni ingiustificati allarmi di fronte ai tentativi di «aggiornamento» in campo liturgico, pastorale ed ecclesiale in nome di una malintesa fedeltà alla tradizione, non è una forma aggiornata di attaccamento più alla tradizione che al Vangelo? C’è, infatti, una certa religiosità che in realtà è invenzione degli uomini e che è ormai diventata consuetudine. “C’è una spiritualità tutta esteriore che serve più a consolare noi che a lodare Dio; c’è un rigido tradizionalismo che, sotto il manto di solenni proteste di ortodossia e di purezza spirituale, vuole solo conservare contenitori vuoti, abitudini consolidate, «otri vecchi», come li definiva Gesù. C’è una tradizione più folcloristica che interiore, più pagana che cristiana, più umana che posta sotto il sigillo di Dio. Anche perché il «comandamento di Dio» è per eccellenza uno solo e totale, infinitamente più impegnativo di un semplice gesto sacro: è l’«amare», come ripete incessantemente il Vangelo”. (G. Ravasi)

Se si scorrono molti “Siti Cattolici Romani tradizionalisti” presenti in Rete, si rimane spesso sconcertati dalla grettezza degli atteggiamenti, dalla chiusura mentale, dall’immobilismo spirituale, dai toni totalitari e discriminanti completamente distaccati dall’amore, dalla comprensione e dalla tolleranza predicati da Gesù Cristo.
Se è quello il cristianesimo, meglio seguire altre strade!
Fortunatamento quello è solo una forma nuova (e neppure tanto) di fariseismo attualizzato e non l’espressione della Chiesa di Dio, sempre nuova, sempre viva, sempre attuale, sempre animata dal soffio dello Spirito che la guida nonostante tutto.

Saverio Schirò

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