L’icona bizantina è una rappresentazione sacra dipinta su tavola di legno dipinta e collocata in un determinato luogo con lo scopo di veicolare un significato teologico, anzi di più: rendere visibile con l’immagine la Presenza ivi raffigurata.

Dai simboli cristiani alle icone

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Nelle catacombe cristiane fa la sua comparsa, sin dai primi secoli, un’arte di “puro segno”. Il suo scopo è insegnare: proclama la salvezza e ne rappresenta i mezzi attraverso dei segni semplici nella forma e nel significato. Sono i simboli del cristianesimo. La loro rappresentazione non ha nessuna pretesa teologica e nulla concede all’estetica: vuole indicare semplicemente l’azione salvatrice: un morto che viene resuscitato; uno che sta per morire viene salvato. Il Buon Pastore non ha nulla a che fare col Cristo storico ma vuol dire: il Salvatore salva realmente.
Sono verità disegnate che convergono verso l’unico richiamo: non c’è vita eterna fuori del Cristo e dei sacramenti. È una “non arte” questa dei graffiti delle catacombe che immersa nella morte dei sarcofaghi sui quali è rappresentata fa la sua rinascita, anzi la sua “resurrezione” intorno al IV secolo sotto la forma mai vista prima dell’icona. Né segno, né quadro, ma icona, simbolo della Presenza e visione liturgica del mistero fatto immagine.

Icona: da opera d’arte a contemplazione del Mistero

La Parola di Dio annunciata e ascoltata è contenuta nella Bibbia; costruita in forme architettoniche apre le porte del Tempio; cantata e rappresentata scenicamente nel culto costituisce la liturgia; misteriosamente disegnata si offre in contemplazione, in “teologia visiva” sotto forma di icona.

Differenza tra opera d’arte religiosa e icona

L’evoluzione pittorica Occidentale, rispetto alla concezione contemplativa dell’arte, si è adattata slittando verso il realismo percettivo ed il sensualismo concentrandosi sul significante (opera d’arte) rispetto al significato. In questo modo l’arte è diventata una imitazione del reale e se rappresenta qualcosa che ha a che fare col divino può aspirare al massimo ad essere arte religiosa, ma mai sacra.
In Occidente lo sviluppo dell’arte sacra si spegne anche a causa del rifiuto del movimento iconoclastico, assumendo una funzione limitata di pedagogia e di consolazione: una Bibbia per gli illetterati e per la massa incolta (ed è già tanto!). La visione teologica cede il passo al naturalismo aristotelico a danno dell’immaginazione simbolica.
Se gli angeli del Medio Evo erano ancora quelli della Bibbia, i mediatori del messaggio di Dio (funzione che l’icona voleva assolvere allo stesso modo), adesso, con la teologia scolastica, essi hanno perduto la qualità di esseri viventi divenendo delle “virtù” e spogliati dal loro ministero di messaggeri.

Arte religiosa e iconografia due concezioni tecniche diverse

Anche dal punto di vista tecnico le differenze tra arte religiosa e iconografia sono notevoli: sfruttando l’artificio delle ombre e delle luci, l’arte Occidentale si è sviluppata verso la riproduzione artificiale della tridimensionalità dei soggetti.
Non così per l’icona, dove i soggetti rimangono ancorati ad una visione bidimensionale perché essi sono sottratti alle leggi della natura ed alla realtà. È una precisa scelta teologica dal momento che si ha chiara l’intenzione di rappresentare quella che è considerata una visione, una irruzione del mondo spirituale nella finestra di questo nostro mondo.
Il soggetto che viene rappresentato nelle icone è sottratto alle leggi della materia poiché appartiene al mondo dello spirito: così i volti dei santi rappresentati nelle icone sono chiamati liki: ovvero volti che si trovano fuori dal tempo, ma resi eterni dalla pittura iconografica. Si tratta di un volto trasfigurato e trasformato che ha abbandonato la dimensione delle passioni terrene ed è totalmente inserito in quella spirituale, al di là del tempo e dello spazio. Pur essendo trascinati e coinvolti in questa dimensione, essi però mantengono la loro dimensione umana: restano uomini e in qualità d’essere umani mantengono l’immagine di Dio sul loro volto.

Il significato delle icone bizantine

Icona di GesùPer capire il significato più autentico dell’icona bizantina, allora, bisogna rifarsi al suo carattere teologico e non fermarsi al solo aspetto estetico. Infatti per l’Oriente cristiano l’arte è diventata inseparabile dalla teologia e dalla liturgia: così l’annuncio del Cristo non fu lasciato solo alla testimonianza scritta, ma anche a quella dipinta. Una teologia ed una preghiera per immagini, dunque.
L’iconografia sboccia spontaneamente come una sorta di filosofia della trascendenza con la pretesa di ricondurre il sensibile alle sue radici celesti come una evocazione epifanica: l’invisibile meraviglioso che evocato si manifesta. Per questo non è da considerarsi come un’opera d’arte ma il modo più diretto e anche più profondo attraverso il quale Dio si comunica all’uomo. Le scelte pittoriche si rifanno esclusivamente ai canoni classici ma con una grammatica tutta particolare che poco spazio lascia alla fantasia del pittore: così la prospettiva è sempre ridotta, il paesaggio appena accennato, le figure stilizzate in una immobilità ieratica, le proporzioni spesso alterate ed i colori mai fini a se stessi.
Tutto ha un significato preciso e l’artista ha l’obbligo di sottomettersi al simbolo teologico senza nulla concedere alle soluzioni tecniche della composizione e dei colori.

La prospettiva inversa, ovvero l’infinito converge verso il cuore dell’uomo

Icona, prospettiva inversaLa cosiddetta “prospettiva inversa” è il frutto di questa affascinante concezione. Normalmente, nella rappresentazione di un soggetto, l’artista applica una visione prospettica tracciando le linee di forza che convergono verso un centro ideale posto all’interno dell’opera: il risultato è un inganno visivo che mette l’opera al centro dello sguardo, rappresentando la nostra irruzione nello spazio che ci sta di fronte.
Al contrario, l’icona bizantina è costruita in modo tale che le linee di forza si dirigono in uno o più centri situati davanti e all’esterno dell’icona stessa, proprio verso colui che guarda.
In questo modo, il centro di convergenza delle linee di forza si concentra verso gli occhi ed il cuore del fedele che contempla e al quale l’icona si rivolge.
È l’irradiazione della presenza di Dio e dei Santi nello spirito di chi contempla. È un movimento verso di noi. È il mondo spirituale che si impone e avanza verso il fedele per una compartecipazione.

L’icona non è bella, ma evocativa

L’icona non ha nulla di bello secondo i canoni comuni e naturali di questo concetto. Le forme stilizzate e spesso sgraziate non attirano gli sguardi secondo i tradizionali schemi estetici; e tuttavia l’icona risulta affascinante e straordinariamente evocativa agli occhi di chi la contempla: è il trionfo del sublime e dello spirituale sul bello e sul naturale. Contribuiscono a questa spiritualizzazione anche il significato simbolico dei colori e l’uso della luce che come “luce propria” non si irradia da un punto preciso ma emana uniformemente dall’insieme del fondo luminoso.

Ecco dunque cosa è l’icona: una rappresentazione trasfigurata della realtà, una visone dall’alto, da parte di Dio del nostro mondo e chi la contempla entra nel mondo privilegiato della gloria di Dio.

Gli autori delle icone: agiografi e non pittori

Icona della Trasfigurazione

Naturalmente per raggiungere il suo scopo l’icona deve essere il frutto di una ispirazione religiosa e mistica e non già l’espressione della emotività umana.
L’icona deve essere “scritta” e non dipinta e l’autore da vero agiografo è colui che condensa l’esperienza liturgica ed ecclesiale della comunità dei credenti. Pertanto, nella tradizione orientale l’icona nasce dalla preghiera, porta alla preghiera e si nutre della preghiera appassionata della chiesa intera.
Da qui la concezione spirituale, quasi sacerdotale dell’agiografo. La sua deve essere un’arte tutta teologica ed egli stesso deve essere un uomo “spirituale” perché purificato dalla grazia e illuminato dallo Spirito Santo. Solo così può vedere la realtà divina che deve rappresentare ed è per questo che la sua “opera prima” tende ad essere l’icona della “trasfigurazione del Signore”. Alla luce taborica, l’unica che può illuminare la realtà trascendente di Dio, egli può misurarsi col suo grado di maturazione e metamorfosi spirituale a prova della sua capacità superiore di comprensione.
Prima e durante la “scrittura” di una icona gli si chiede una sorta di “digiuno degli occhi” per evitare forme e colori inutili e distraenti e contribuire così al cammino di ascesi verso quell’invisibile irrappresentabile che egli cerca di svelare per il bene dei fedeli.

Saverio Schirò

Fonti A. AMATO, Gesù il Signore, Bologna 1988;
P. EVDOKIMOV, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Roma 1981;
J. MEYENDORFF, La teologia bizantina, Casale Monferrato 1984;
E. SENDLER, L’icona immagine dell’invisibile. Elementi di teologia, estetica e tecnica, Roma 1984.

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