L’ansia del tempo e la paura di fermarsi

Che paradosso: quel "tempo" che fortunatamente cancella ogni dolore, ogni amarezza, ogni sconfitta, è lo stesso che imperiosamente si porta via i momenti più gioiosi e felici della nostra esistenza.

Molto spesso, dopo una festa, un divertimento, un evento felice, riaffiora  in noi tutti po’ di nostalgia e si è assaliti dall’angoscia di non aver potuto fermare il tempo, di non aver potuto assaporare più a lungo quell’attimo fuggente. Si aspettano con ansia le vacanze di Pasqua e si contato i giorni dall’arrivo dell’estate,  mentre si aspettano i prossimi europei di calcio;  salvo poi accorgerci, guardandoci allo specchio, dei segni del tempo impressi sul nostro volto.

Per contro, per sopprimere l’angoscia del tempo che scorre inesorabilmente, si cerca a tutti i costi di riempirlo di impegni, incontri più o meno futili. Cos’è una discoteca se non il luogo per eccellenza abilitato alla rimozione delle nostre inquietudini, l’approdo ideale per sfuggire alla noia che ci assale quando siamo soli con noi stessi? Cos’è quella corsa affannosa alla ricerca dei regali se non la fuga dal confronto con una nascita – quella del Natale – che ci interpella e mette in crisi la nostra coscienza, troppo spesso dimentica di se stessa e risvegliata ad ogni vigilia?
Nell’antica Roma c’erano le arene con i gladiatori, i leoni e le vittime designate. Perfino i re non erano immuni da questo senso di vuoto che assale la maggior parte delle persone, quando devono fermarsi, pensare o riflettere. Infatti avevano accanto a se i giullari  il cui compito era quello di  distrarli dai loro pensieri di uomini soli e infelici. Feste, banchetti; tutto  serviva per distrarsi e per distrarre, e se ciò non bastava si organizzava una guerra per tenere tutti impegnati.

Purtroppo dobbiamo constatare che cambiano le situazioni e le modalità, ma bene o male nella maggior parte degli uomini affiora la paura di restare soli, senza capire che nella solitudine voluta e ricercata ci sono i germi della psico–esistenzialità, la capacità umana di farsi delle domande sul senso della vita e prendere contatto con la nostra anima, che potremmo definire il sagrato della nostra coscienza. L’anima conosce tutto di noi e sa che non siamo né bestie né angeli e che anche se siamo nati dalla luce brancoliamo nel buio, cercando all’esterno quello che in realtà abbiamo dentro. Conosce la nostra vita passata, il nostro presente e sa che siamo degli  esseri in divenire ricchi di grandi promesse e tante aspettative. Ed essa con amorevole compassione abbraccia il nostro passato, il nostro presente ed è pronta ad abbracciare il nostro futuro senza giudicarci. L’anima è sempre li ad attenderci come uno specchio. Ma molto spesso facciamo di tutto per evitarla e ci buttiamo in mille faccende, ci inventiamo mille preoccupazioni o (peggio ancora) vaghiamo con la mente senza cogliere e apprezzare l’attimo presente,  perché abbiamo paura che essa ci riveli per quello che siamo. E visto che c’è una parte di noi che celiamo agli altri e a noi stessi, cerchiamo di tenerci lontani dal nostro potere più autentico, cioè l’incontro con Essa.

Ad un tratto arriva l’imponderabile, il non aspettato, un ospite inquietante, forse più del nichilismo di cui si conoscono i contorni. Si tratta di un virus sconosciuto che ci spiazza e ci irrigidisce. Non si tratta di paura, dalla quale ci possiamo difendere, ma dall’angoscia di un nemico subdolo che scardina le nostre sicurezze. Tutti a casa!! Niente uscite, niente negozi, niente sport, niente apericena e ad un tratto ci ritroviamo tutti a casa. Cosa possiamo ricavare da questa prigione forzata? In molti rievocano i fasti della famiglia unita attorno al focolare, senza mettere sul conto che fra TV, cellulari e computer non è detto che questa unità venga ristabilita.
Mi hanno colpito alcuni video di bambini in cui loro stessi, oltre che a invitare a stare a casa, consigliano di fare i compiti, disegnare e riprendere alcuni giochi. E gli adulti? Credo che sarà molto difficile disfarsi dei Social e dei mezzi di comunicazione. L’unico consiglio potrebbe essere quello di riconsiderare il concetto di tempo e decidere di non “ammazzarlo del tutto”, e salvarne una parte per qualche riflessione personale, dimenticandoci per un po’ del paesaggio esteriore e riscoprire quello interiore.

Il tempo non possiamo fermarlo, né accelerarne la sua corsa, né tanto meno invertirne il suo corso. Noi possiamo solamente decidere come affrontarlo. Possiamo metterci su un motoscafo nella vana illusione di arrivare prima alla meta, con il rischio di non potere gustare al meglio i suoi contorni; possiamo salire su una zattera senza timone col rischio di andare verso la deriva delle onde come canne al vento o decidere di metterci su una barca a remi per affrontare meglio i suoi flutti e mantenere la rotta; poter godere dei suoi paesaggi ricchi di fauna e di flora che man mano le sue sponde offrono ai passanti; accettare i rischi che ogni viaggio comporta, ma soprattutto avere la possibilità di fermarsi e specchiarsi nelle sue limpide acque e dire: “Sono qui, con le mie certezze e i miei dubbi, con le mie forze e i miei limiti, ma soprattutto con la consapevolezza di avere dato un senso al viaggio che abbiamo intrapreso, malgrado tutte le difficoltà e gli ostacoli che abbiamo  incontrato e incontreremo lungo il nostro cammino.

Giuseppe Compagno

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