La comunione sotto le due specie

Ancora oggi una nutrita schiera di sacerdoti, anche giovani purtroppo, insieme ad altrettanti fedeli, oppongono una resistenza incomprensibile alla diffusione della Comunione sotto le due specie, del pane e del vino. Si tratta di una resistenza francamente incomprensibile e dettata più da ragioni di tipo opportunistico che di natura teologica. Chiunque ha un minimo di conoscenze teologiche e liturgiche sa bene che le ragioni che hanno condotto all’uso quasi esclusivo della sola specie del pane durante la comunione dei fedeli sono storicamente datate e non più sostenibili al tempo presente.
Si capisce facilmente che non sembra corretto che la fedeltà al Vangelo ed alla prassi indicata da Gesù stesso venga superata e disattesa da una riflessione teologica, seppur autorevole.
Voglio qui di seguito riportare uno stralcio di un grande teologo liturgista dei nostri tempi (scomparso recentemente) convinto sostenitore della comunione sotto le due specie per tutti: Rinaldo Falsini

 «Mangiate e bevetene tutti» (Rinaldo Falsini)
La vera ragione è una sola. Gesù ha scelto nell’ultima cena il pane e il vino, i due alimenti conviviali comuni nel suo ambito culturale, per annunciare la sua morte sulla croce come dono di sé stesso al Padre e per rendere partecipi quanti ne avrebbero mangiato e bevuto della nuova alleanza con Dio. Il pane spezzato rimanda al suo corpo immolato che viene condiviso: «Questo è il mio corpo per voi… mangiate». Il vino rimanda al suo sangue versato che viene assunto come bevanda: «Questo è il mio sangue dell’alleanza… bevetene tutti». I due punti di riferimento sono inscindibili nelle parole e nei gesti di Gesù. Quindi il pane e il vino sono stati scelti come cibo e bevanda, come forme sacramentali per comunicare con l’evento salvifico della Pasqua di Cristo, scelti per il loro chiaro significato simbolico. Le parole dette a proposito del pane e del vino vogliono sottolineare il valore e il senso della morte, con le conseguenze che ne derivano per noi. Le parole sul calice sono molto significative: la sua vita donata, la nuova alleanza, la remissione dei peccati. Gesù ha istituito l’Eucaristia sul modello di una cena, per raccoglierci tutti come una famiglia.

Ripristino di una prassi antica
Si spiega pertanto come la Chiesa del primo millennio (la Chiesa orientale anche oggi) sia stata fedelissima alla volontà di Cristo e abbia invitato i fedeli a “mangiare” e a “bere” il corpo e il sangue del Signore, offrendo loro non solo il “pane santo” ma anche “il calice della salvezza”. A tale compito ha assegnato come ministro il diacono. L’abbandono del calice da parte dei laici è avvenuto tra il IX e il XII secolo per una serie di cause, anche dottrinali, che condussero alla decisione del Concilio di Trento di vietare la comunione al calice, salvo casi eccezionali.
Il ripristino compiuto dal Vaticano II è stato un atto di coraggio e di fedele accoglienza della volontà del Signore. Alle difficoltà pratiche il Concilio è venuto incontro indicando quattro modalità: comunione al calice, bevendo alla medesima coppa (specie per gli sposi); intinzione del pane eucaristico nel calice; l’uso del cucchiaino (praticato in Oriente per i bambini) e della cannuccia. Nessuno deve sentirsi obbligato, ma sarebbe fortemente discutibile rifiutare senza motivo l’invito del Signore. In ogni caso la comunione sotto le due specie dimostra fedeltà al volere di Cristo e completezza al carattere conviviale dell’Eucaristia.

Per saperne di più potete leggere:
“FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME”
VINO E PANE: PERCHE’ NO?

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