Se entriamo in un Museo Diocesano, tra gli oggetti che subito colpiscono la nostra attenzione, dopo i vasi sacri preziosi, come i calici, le pissidi, gli ostensori, le teche ed altri, ci stanno sicuramente i paramenti sacri, i cui disegni ricamati in straordinarie e molteplici forme, sono di una bellezza e ricchezza impressionante. E tra di essi ci sono certamente le pianete, o casule, quelle che maggiormente hanno fatto sbizzarrire l’arte e la maestria raffinata di disegnatori, orafi, sarti, ricamatrici e maetranze varie. La maggior parte del vestiario liturgico è dato dalle vesti usate nella celebrazione della Santa Messa, più qualche altro paramento che ora enumeriamo per comodità del lettore: l’amitto, il camice o l’alba, il cingolo, la stola, il manipolo,  la pianeta o la casula, la dalmatica, la cotta, il piviale, la  tunicella,  la cappa, il velo omerale.

SIGNIFICATO E SIMBOLISMO DELLE VESTI LITURGICHE

Nell’Antico testamento, le vesti liturgiche usate usate dai sacerdoti nelle varie celebrazioni erano totalmente differenti dagli abiti abitualmente usati nella vita quotidiana. Quando Gesù invitò i suoi discepoli a celebrare la Pasqua con Lui, non usò un vestito particolare per quella occasione, ma soltanto un vestito pulito di buona qualità, quale si addiceva alla più grande solennità ebraica. Nei primi secoli della vita della Chiesa, che fin da subito ha cominciato a celebrare il memoriale della Passione, Morte e Risurrezione del Signore, gli abiti che venivano usati erano quelli normali. Essi si distinguevano solo per la qualità della stoffa e per il loro particolare decoro, ma non certamente per la loro forma.
Con le ripetute invasioni barbariche i costumi e gli abiti di questi nuovi popoli sono entrati nell’uso quotidiano, cambiando il modo di vestire comune. Nella Chiesa, invece, gli abiti usati dai ministri del culto sono rimasti immutati, differenziandosi dalle vesti civili, fino a raggiungere la loro definitiva forma nell’epoca carolingia, forma che è rimasta quasi immutata fino ai nostri giorni.
Le vesti liturgiche, in questo modo, hanno assunto un carattere cultuale, che segna lo stacco dalle attività e dai problemi della vita quotidiana per entrare nella dimensione della celebrazione liturgica.
Di conseguenza i paramenti hanno cominciato ad assumere un valore simbolico in naturale coerenza con il loro uso. Il fatto che il camice o la tunica copra tutta la persona, aiuta a comprendere come al primo posto non ci sta la realtà individuale della persona che la indossa, ma il ruolo che essa riveste: i ministri del culto non agiscono in nome proprio ma in persona Christi,  rappresentano cioè colui che è il vero protagonista dell’azione liturgica, Gesù Cristo.  Colui che compie una funzione cultuale non la attua in quanto persona privata, ma come ministro della Chiesa e come strumento nelle mani di Gesù Cristo.
A testimonianza di ciò, sono state formulate delle preghiere che ogni sacerdote era solito recitare a mano a mano che metteva addosso una delle vesti.
Comincio col presentare gli indumenti liturgici a partire da quelli usati per la celebrazione eucaristica, indicandone il significato simbolico e la rispettiva preghiera che li accompagna, per poi finire con gli altri per i quali non c’è una propria preghiera.
Quando la mattina vado a celebrare la messa presso le “Missionarie della Carità” di Madre Teresa di Calcutta, nella piccola sacristia sta appeso un cartellino con le preghiere da recitare indossando i paramenti, e vi assicuro che è come una carica interiore per prepararsi alla celebrazione.

VESTIZIONE DEI PARAMENTI LITURGICI USATI NELLA MESSA

Prima di iniziare la vestizione il sacerdote si lava le mani, non solo per un semplice fatto di igiene, ma per il forte valore simbolico di questo gesto che indica il passaggio dal profano al sacro, e che esige un atto di purificazione personale per presentarsi dinanzi all’Altissimo. Il gesto è accompagnato dalla seguente preghiera: “Da’ alle mie mani, o Signore, la virtù di essere purificate da ogni macchia, perchè io ti possa servire senza alcuna sporcizia del corpo e dello spirito”. Quindi inizia la vestizione.

amitto-indossatoL’amitto: consiste in un ampio panno bianco rettangolare, munito di due lunghe fettucce, che si appoggia alla testa, si fa scendere sulle spalle e gira attorno al collo per coprire l’abito quotidiano. Esso simboleggia “l’elmo della salvezza” per proteggere dagi assalti del nemico, ed in particolare da pensieri e desideri inutili o nocivi. Esso è accompagnato da questa preghiera: “Poni, Signore, sul mio capo l’elmo della salvezza, per sconfiggere gli assalti diabolici.”

camiceIl camice o alba: lunga veste di stoffa bianca, che giunge sino alle caviglie e che copre completamente l’abito del sacerdote e dei ministri sacri. Ricorda la veste bianca da cui siamo stati avvolti nel battesimo e sottolinea la purezza di spirito con cui bisogna celebrare i santi misteri. Mentre la indossa il sacerdote dice: Purificami, Signore, e monda il mio cuore, perché reso bianco nel Sangue dell’Agnello, io goda delle gioie eterne”


cingoloIl cingolo
: cintura in stoffa che stringe il camice a livello dei fianchi del celebrante. Esso simboleggia il dominio di sé, che è frutto dello Spirito. Mentre se ne cinge il sacerdote dice: Cingimi, Signore, con il cingolo della purezza ed estingui in me la linfa della libidine, affinché rimanga in me la virtù della continenza e della castità”.

manipolo

Il manipolo: (con la riforma liturgica è caduto in disuso, anche se non è stato abolito, ma esso viene ancora usato nella messa tridentina). É un tipo di stoffa simile alla stola, ma di dimensioni ridotte. Esso si legava all’avambraccio sinistro, e deriva molto probabilmente da una specie di fazzoletto che veniva legato al braccio e serviva per tergere il sudore. Sta quindi ad indicare le fatiche della vita, come ben si esprime la corrispondente preghiera: “O Signore, che io meriti di portare il manipolo del pianto e del dolore, affinché riceva con gioia la ricompena del mio lavoro”.

stolaLa stola: insegna qualificante dei ministri ordinati, che deve essere portata sempre nelle celebrazioni dei sacramenti e dei sacramentali. Si presenta a forma di sciarpa, portata dal sacerdote e dal Vescovo sul collo cadendo sul petto in tutta la sua lunghezza. Il diacono
invece la indossa di traverso sulla spalla sinistra, per unire i due capi sul fianco destro. Essa sta ad indicare la dignità del ministero ricevuto, come suggerisce la preghiera relativa ad essa: “Restituiscimi, o Signore, la stola dell’immortalità, che persi a causa della prevaricazione del primo padre; e per quanto accedo indegno al tuo sacro mistero, fa’ che io raggiunga ugualmente la gioia senza fine”.

pianetaLa pianeta o la casula:  paramento che il sacerdote celebrantcasulae indossa sopra il camice e la stola. La diversità del nome serve a distinguere la diversa forma dell’una o dell’altra. Oggi viene usata più comunemente la casula. Essa è la veste più appariscente, perché totalmente in vista, ed  è confezionata nei vari colori liturgici, spesso arricchita di immagini dipinte, stampate o in ricamo che ne rivelano la bellezza ed indicano la solennità della celebrazione. La preghiera relativa alla casula fa riferimento all’esortazione della Lettera ai Colossesi 3,14: «Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione». Essa recita così: O Signore, che hai detto: Il mio giogo è soave e il mio carico è leggero: fa’ che io possa portare questo indumento in modo da conseguire la tua grazia. Amen.

ALTRI INDUMENTI USATI NELLE CELEBRAZIONI

dalmatica1La dalmatica: chiamata così perchè è un tipo di indumento proveniente dalla Dalmazia. Era una veste utilizzata in epoca romana e poi rimasta in uso come paramento liturgico, consistente in una lunga tunica, provvista di ampie maniche, che arriva all’altezza delle ginocchia. È l’abito proprio dei diaconi, i quali la indossano nelle Celebrazioni liturgiche.tunicella


La tunicella: è simile alla dalmatica, ed era l’abito liturgico usato dai suddiaconi. Essa è ormai assimilata alla dalmatica, visto che questo ministero è stato soppresso.

La cotta: sopravveste bianca, spesso abbastanza semplice, ma a voltecotta ornata di pizzo finemente ricamato, lunga fino al ginocchio, con maniche corte e larghe, da indossare sopra l’abito talare. Nella sua confezione più semplice viene usata anche dai ministranti, che servono all’altare (chierichetti), anche se viene usata sempre più comunemente la “tunichetta”.

velo-omeraleIl velo omerale: panno lungo rettangolare che serve per coprire e riparare in segno di rispetto, da portare sulle spalle, quando il sacerdote tiene l’ostensorio o la pisside durante la benedizione eucaristica solenne o durante una processione. A volte lo si vede decorato con frange dorate o con simboli preziosamente ricamati, che richiamano la sua funzione.

11) Il piviale conosciuto anche come cappa: veste liturgica usata originariamente per lepiviale processioni, per la Liturgia delle Ore nelle feste solenni, per la celebrazione dei Sacramenti al di fuori della Messa e per la benedizione col Santissimo Sacramento. Come suggerisce il nome originario “pluviale”, era un mantello che serviva per riparare dalla pioggia, motivo per cui il suo uso è più generalmente adottato nelle celebrazioni liturgiche al di fuori della messa ed anche fuori dall’edificio di culto. Anch’esso porta spesso ricami preziosi ed artistici.

Nella fiducia che queste note siano state utili per la comprensione ed un rinnovato apprezzamento del valore simbolico delle vesti liturgiche, auguro a tutti i lettori di poter “rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.” (Ef. 4, 22). Ma rivestiamoci soprattutto dell’abito dell’amore, il solo che ci rende degni di partecipare alle nozze dell’agnello, ed ora, qui in terra, alla celebrazione eucaristica.

Don Giuseppe Licciardi (Padre Pino)

1 COMMENTO

  1. Complimenti padre Pino, un articolo veramente ben fatto, chiaro, ricco di contenuti e informazioni. Molte cose non le conoscevo e, se pur vedendole, non avevo idea del significato o il motivo del loro uso. Grazie sempre per il suo contributo

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