(La storia è tratta da Giudici 3, 7-30)
Il periodo di tempo che segue l’ingresso degli Israeliti nella terra promessa, sotto la guida di Giosuè, è conosciuto abitualmente come “l’epoca dei Giudici”. Possiamo dire che è il tempo dell’insediamento di queste tribù nel territorio che era abitato da altri popoli, come i Cananei, i Gebusei, gli Amorrei, gli Edomiti, i Filistei, gli Evei, ed altri piccoli regni. Questo periodo di tempo è stato spesso tempo di scontro aperto e violento, di adattamento, di confronto culturale e religioso.
Si capisce che gli abitanti originari non accettavano volentieri la presenza di questi stranieri ebrei che venivano ad usurpare i loro territori, ed allora li combattevano e li sottomettevano trattandoli con durezza.
In queste situazioni di difficoltà ecco che venivano fuori i cosiddetti “Giudici”. Con questo nome vengono designati quelle persone che, in situazioni di emergenza, si trovano ad assumere il ruolo di guide di una o di un gruppo delle tribù d’Israele che venivano assoggettate e riuscivano a liberarle dall’oppressione dei popoli nemici.
L’autore sacro però legge in maniera particolare questi eventi, collegando la soggezione degli ebrei con il fatto che si erano lasciati corrompere dai culti pagani praticati da quei popoli, facendo quello che era male agli occhi del Signore, e quindi il Signore li lasciava in preda dei loro nemici.
Quando si rendevano conto di avere tradito la loro fede, allora tornavano ad invocare il Signore che mandava un liberatore, un giudice appunto, che assumeva il comando del popolo d’Israele e lo liberava.
In uno dei primi tempi di questa conquista, il re di Moab, Eglon, si alleò con i vicini popoli degli Ammoniti e degli Amaleciti, fece una spedizione contro Israele, lo battè e conquistò la città delle Palme, che rappresentava la loro capitale. Per ben diciotto anni gli Israeliti divennero schiavi di Eglon ed ogni anno dovevano pagare il tributo.
In tutti questi anni di schiavitù, gli ebrei ebbero modo di riflettere sulla loro condizione, rendendosi conto che avevano accolto le divinità pagane degli altri popoli, rendendo loro culto ed avevano tradito l’Alleanza. Allora cominciarono a gridare al Signore ed Egli suscitò per loro un liberatore, Eud, figlio di Ghera, della tribù di Beniamino, che era un mancino.
Proprio quell’anno, gli Israeliti posero Eud a capo della delegazione che doveva portare il tributo al re Eglon.
Eud era un uomo svelto, astuto ed audace, che godeva la stima e la fiducia del suo popolo. Da tempo aveva meditato un progetto per sbarazzarsi di Eglon e ridare al suo popolo la sospirata libertà dai Moabiti.
Si fece una spada a doppio taglio, di circa cinquanta centimetri, e se la cinse sotto la vesta, al fianco destro, in modo che non venisse notata. Quindi si recò al palazzo del re, con la delegazione inviata dagli Israeliti, per portare il tributo a Eglon, che era molto grasso. Dopo aver presentato il tributo, ripartì con la gente che era venuta insieme con lui.
Ma giunto al luogo detto degli Idoli, presso Galgala, si separò dai suoi compagni e tornò indietro, al palazzo del re, chiedendo di parlare con lui: “O re, ho qualcosa da dirti in segreto“.
Lo fecero passare ed il re chiese silenzio, cosicché tutti uscirono dalla sala, che era al piano superiore. Quando fu solo, Eud disse al re: “Ho una parola da dirti da parte di Dio“. Il re si alzò dal suo seggio e lo invitò ad avvicinarsi. Allora Eud, mentre ai avvicinava al re, con una mossa veloce allungò la mano sinistra e tirò fuori dal suo fianco la spada, immergendola nella pancia del re fino all’elsa, tanto che il grasso si rinchiuse intorno alla lama.
Senza curarsi di estrarla, Eud uscì subito dalla finestra della stanza, dopo aver chiuso i battenti del piano di sopra e aver tirato il chiavistello, e così si trovò nel portico.
Quando fu uscito, vennero i servi, i quali guardarono e videro che i battenti del piano di sopra erano sprangati. Pensando che il loro sovrano stesse attendendo ai suoi bisogni e si fosse messo a riposare nella stanza più fresca, non se ne curarono fino a quando non si sentirono inquieti per il passare del tempo.
Preso il chiavistello aprirono e trovarono il macabro spettacolo del loro re steso morto per terra.
Eud intanto, in quel tempo di attesa, dopo aver oltrepassato il luogo degli Idoli, fuggì di corsa per mettersi in salvo sulle montagne. Giunto là suonò la tromba sulle montagne di Efraim e gli Israeliti scesero dalle montagne e si unirono a lui, che si mise alla loro testa. Egli li incitava a seguirlo, gridando loro: “Seguitemi, perchè il Signore ha messo nelle mani i Moabiti, vostri nemici“.
Con questo grido di guerra scesero dalle montagne, si impadronirono dei guadi del Giordano per non far passare nessuno e sconfissero circa diecimila Moabiti, ancora shoccati per la morte del loro sovrano, sottraendosi così al loro pesante giogo.
Con l’audace stratagemma messo in atto da Eud, il mancino, e la vittoria che ne seguì, Moab fu umiliato sotto la mano di Israele, che si liberò dall’oppressione e rimase tranquillo per ottant’anni.
Giuseppe Licciardi