Dare valore e significato alla vita…

… Attraverso la religione, ma anche in assenza di essa

Una collega si è aperta con me raccontandomi dei suoi sensi di colpa derivanti dal fatto che i suoi figli non hanno più intenzione di andare a messa. Crede di non avere fatto abbastanza. Si chiede se forse il suo esempio di madre, che da qualche periodo non frequenta la chiesa, abbia inciso profondamente sulle scelte dei figli, anche se si definisce orgogliosa per i valori che è riuscita a trasmettere loro e di come essi si pongono nei confronti della vita e delle relazioni in genere. In particolare si sofferma sulla sensibilità della figlia e sulla profondità del suo pensiero. Ma per una famiglia cattolica l’allontanamento da parte dei figli dall’appuntamento domenicale rappresenta una ferita che non si riesce a rimarginare.
L’allontanamento sarebbero dovute alla mancanza di concentrazione per via di rituali che non riescono a coinvolgerla e ad omelie che non colpiscono il suo cuore. C’è da chiedersi: è giusto presenziare ad un rito religioso con malavoglia senza che questo incida profondamente sulla propria anima?

Ho cercato di consolarla dicendole che la fede è qualcosa di personale e di intimo che non può essere iniettata senza il consenso dell’interessato. I genitori hanno il dovere di istillare ai figli i valori di cui sono depositari, ma è altrettanto giusto accettare la possibilità che essi si emancipino da essi. La storia dei movimenti cattolici, a partire dall’azione Cattolica, ci insegna che, passata l’età della latenza, la maggior parte dei fanciulli entrando nell’età turbolenta dell’adolescenza, si allontana dall’influsso della religione (che cozza contro le spinte ormonali e il desiderio di rigetto nei confronti delle autorità costituite), magari riscoprendola nell’età adulta.
Ma davvero pensiamo che la salute psichica e morale dei nostri figli dipenda solo dall’appartenenza ad un credo religioso particolare? Chi di noi non vorrebbe avere la certezza dell’esistenza di un aldilà? di un paradiso? Ma siamo sicuri che l’idea di trascendenza sia il motivo centrale che fa di un uomo o una donna un essere umano degno di valore? La parola trascendere ha a che fare solo con l’idea di Dio? Magari di un Dio che (come viene presentato da alcuni che hanno avuto la possibilità di scendere negli inferi attraverso esperienze mistiche) minaccia il fuoco dell’inferno se non conformiamo la nostra vita al suo volere? Personalmente penso che trascendere se stessi significa fuoriuscire dal proprio io ipertrofico per fare spazio agli altri. Non lasciarsi schiacciare dai vincoli parentali e di sangue, combattere il familismo amorale secondo il quale l’interesse primario è quello della nostra famiglia, del nostro clan o del nostro gruppo, magari a discapito della comunità e del nostro pianeta. Trascendere se stessi (per noi adulti) significa guardare al futuro, ad un futuro che non ci appartiene ma che abbiamo il dovere di costruire già da adesso.
E’ giusto guardare il cielo e agognare il fatidico incontro con l’Altissimo, ma questa visione non deve distogliere lo sguardo dalla realtà, dalla possibilità di creare le condizioni affinché i nostri figli e i nostri nipoti possano vivere in una comunità aperta e più solidale, in un ambiente più sano e meno tossico. Avere come fine solo il premio del paradiso fa di noi delle persone migliori? che si spendono per i diritti civili, che partecipano allo sviluppo culturale e morale della propria comunità? Non mi risulta. Trascendere se stessi significa coltivare il proprio paesaggio interiore per essere pronti ad affrontare quello esteriore. Senz’altro le religioni ci aiutano a coltivare la parte spirituale di noi stessi, ma questo non esclude che per coltivare la nostra anima non ci sia altro. Basta pensare alla cultura, all’arte, alla poesia e alla musica.
Alla fine le ho detto di non preoccuparsi e di non amareggiarsi perché quello che conta è trasmettere ai figli il rispetto del prossimo (magari raccontando le biografie di Ghandi, Martin Lhuter King e Mandela), dell’ambiente e della natura. Noi cristiani abbiamo la fortuna di avere come simbolo del Natale la figura di Gesù Bambino, un simbolo che dà ad ogni nascita valore e significato e alla vita la linfa che ci permette di progettare e dare un senso al nostro futuro.

Giuseppe Compagno 

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