Basta chiedere a qualsiasi sacerdote qual è lo “stato” della Confessione, per sentirsi rispondere che si avverte un declino impressionante nella pratica di questo sacramento, che sembra quasi destinato all’estinzione, vista la sua progressiva scomparsa nella prassi abituale dei fedeli. Per di più, una buona percentuale di quelli che ancora lo chiedono, lo celebrano in modo superficiale, distorto, e tante volte anche sacrilego, visto che mancano quelle disposizioni interiori che rendono valido ed efficace il sacramento stesso. Senza una vita orientata decisamente alla conversione, senza l’anelito alla perfezione evangelica, senza il desiderio di mettere il Cristo al centro della propria vita, il sacramento si svuota di senso e rischia di ridursi a pura formalità rituale.
Quante volte il confessore si trova davanti dei penitenti che chiedono di confessarsi ed esordiscono immediatamente: «Veramente non mi sento di avere nessun peccato!.. Padre , che devo dire? Non ho ammazzato, non ho rubato, non ho tradito mia moglie, qualche parola,…» e qui è tutta la confessione. Oppure c’è chi si siede accanto al confessore o s’inginocchia davanti a lui e comincia a raccontare fatti che con la confessione non hanno niente a che fare e che potrebbero essere raccontati benissimo ad un’amica o ad una comare o ad un amico con lo stesso risultato: sfogarsi. La narrazione non lascia trasparire alcuna forma di pentimento e non emerge per niente in che modo il tutto entri in un contesto in cui la propria vita è vista e vissuta in un rapporto di fede sincero e intenso con il Signore.
Per non parlare di chi comincia a girare al largo, parlando della propria correttezza, si capisce con quei momenti comprensibili di tensione, di scatti d’ira, che però si esauriscono senza strascichi o quelle debolezze che sono comuni a tutti, ecc. Ma anche in questo caso si parte da una forma di moralità sociale, di “political correct”, di qualcosa che si conforma all’andazzo comune, dove non c’entra per niente il rapporto con Dio, che da sostanza al Sacramento della Riconciliazione. Si ammette facilmente che non si è praticanti, che l’Eucaristia, i Sacramenti e la preghiera non fanno parte del proprio abituale programma di vita, ma questo non viene sentito come qualcosa che mette in forse la propria vita cristiana. Si parla di peccati, ma ci si giustifica puntualmente degli stessi e si accusano, perché così va fatto.
Spesse volte capita che un fedele entra in chiesa, vede il sacerdote nel confessionale e subito si precipita a confessarsi, senza sostare un momento in preghiera per prepararsi con un breve esame di coscienza. Come pure c’è chi chiede “l’assoluzione” mentre il Sacerdote è già vestito e pronto per la messa. Tanti peccati sono stati cancellati dal prontuario della confessione. I rapporti prematrimoniali, l’uso indiscriminato degli anticoncezionali e persino l’aborto vengono ritenute pratiche lecite e non più soggette alla confessione; se qualcuno se ne confessa, scopri che fa parte di qualche gruppo o movimento laicale, in cui si cerca di tenere vigile e più sensibile la propria coscienza, altrimenti questo è un tasto che non suona più.
Lo stesso dicasi dei peccati sociali in genere, come lo sfruttamento del lavoro dipendente, retribuito con pseudo-paghe da sopravvivenza (a volte cento euro a settimana), senza garanzie, senza assicurazioni, senza messa in regola e senza orari. Si pensi a tante forme di lavoro in segreterie di uffici di professionisti, di piccole ditte; al lavoro di commessa in negozi e supermercati; al delicato lavoro di baby sitter; all’impiego in posti di ristorazione, alberghi, pizzerie e strutture varie di accoglienza, e altro ancora.
Ci sarebbe da riflettere ancora sullo spreco di tempo, sullo stile di lavoro degli impiegati nei vari uffici che stanno a contatto con il pubblico, dove si rimandano le persone e le pratiche senza motivo, quando si potrebbe risolvere il tutto in pochi minuti. Potremmo parlare dell’uso delle cose pubbliche, dell’ecologia: ma a questo punto mi pare che è proprio il caso di aggiungere semplicemente: etc. etc. etc…
In pratica, sono parecchi gli ambiti in cui pare che la coscienza morale non provi alcun sussulto e che il tutto sia entrato nella prassi abituale, da non essere avvertito più come incongruente con una vita cristiana, che si lascia guidare non dai criteri del mondo, ma dalla parola di Dio, con buona pace della giustizia, della verità, del rispetto per l’altro e di tante altre virtù e valori, che fanno fatica ad avere diritto di cittadinanza nella nostra cultura morale cristiana.
Tirando le somme, dobbiamo amaramente costatare che un’altissima percentuale di confessioni risulta incompleta, malfatta e spesso addirittura invalida, mancando quei presupposti essenziali che la parola di Dio collega indissolubilmente “grazia della conversione e il perdono dei peccati”. E questo non riguarda solo i penitenti, ma anche i confessori, perché, come ci esorta giustamente il papa «la fedeltà nell’amministrare il Sacramento della Riconciliazione è affidata alla responsabilità del presbitero», e afferma che «la “crisi” del Sacramento della Penitenza, di cui spesso si parla, interpella anzitutto i sacerdoti e la loro grande responsabilità di educare il popolo di Dio alle radicali esigenze del Vangelo».
L’anno sacerdotale nel quale la figura del santo curato d’Ars ha fatto da sfondo nei vari interventi del Papa, ha aiutato la chiesa a mettere a fuoco la grandezza di questo sacramento, che ha urgente bisogno di essere rivalutato nella vita dei presbiteri e del popolo cristiano. La Chiesa ha bisogno della grazia di questo sacramento, la cui efficacia esige la retta disposizione degli attori umani in causa: il confessore e il penitente, perché, da parte di Dio, Padre di misericordia, la disponibilità ad accogliere con amore i peccatori, a perdonarli e rinnovarli radicalmente nel cuore è sempre inesauribilmente aperta.
Giuseppe Licciardi