I bambini e “il giorno della Memoria”

Giorno della memoria. Un’occasione per condividere il dolore e la compassione

giornata-memoriaUna mia amica si chiedeva se era il caso di proiettare a scuola, per il giorno della memoria, il film “La chiave di Sara” a bambini di V elementare.
Da quello che emergeva  dalle sue parole, sembrava che il film fosse intessuto di scene che avrebbero quasi  traumatizzato la bambina di 10 anni. Preso dalla curiosità ho visto il film e francamente in confronto,  Schindler’s List è un film horror.
Al di là del film in questione, mi sembra che da parte degli adulti ci sia una forma di rimozione nei confronti delle emozioni forti.  E che questo stato d’animo venga proiettato nei confronti dei bambini, quasi come una sorta di autodifesa.
Così come nel primo anno di vita dei bambini si tende (attraverso il classico atteggiamento iperprotettivo delle mamme) in maniera maniacale a seguire i primi passi e a drammatizzare le possibili cadute  –  che non sono altro che  il prezzo che ogni bambino deve pagare per imparare a stare in equilibrio –  allo stesso modo i genitori tentano di difendere i figli dalla possibilità di sperimentare certe emozioni così dette forti.
Ebbene, credo che a 10 anni i “bambini” devono essere messi in condizione di affrontare la realtà, anche se con l’apporto dei genitori e degli insegnanti. Perché se è giusto che ad una certa età si deve dare spazio all’immaginazione, alla creatività, al sogno e alla speranza, mi sembra opportuno e fondamentale per la loro crescita confrontarsi con le esperienze reali.
Quindi perché non far sperimentare loro la commozione, la compassione e il dolore? Devono forse piangere solo per il mancato acquisto di uno smartphone?
Il termine compatire molto spesso viene usato in maniera negativa: compatire uguale sopportare, lasciar perdere. Mentre in realtà significa soprattutto provare il dolore degli altri o immedesimarsi e patire con l’altro.
Ecco, quando mi capita di vedere un film sulla shoah, non posso fare altro che commuovermi e condividere il loro dolore ed è una cosa che (paradossalmente) mi fa stare bene e invece di imprecare con  tutto l’odio possibile nei confronti dei carnefici mi metto nei panni di chi ha subito tanta crudeltà. E se guardo l’essere umano con questi occhi non posso fare altro che amarlo, con tutti i suoi difetti e con tutte le sue stravaganze e contraddizioni, anche se per carattere (o per deformazione professionale) queste stravaganze e contraddizioni, non posso fare a meno di criticarle.
Mi piace concludere questo articolo con le ultime parole della protagonista de ” La chiave di Sara:
Ogni storia deve essere raccontata e quando si racconta diventa qualcos’altro: Il ricordo di chi siamo stati e la speranza di chi vogliamo diventare.”

Giuseppe Compagno 

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