(Anno A) XXV domenica del tempo ordinario

«SEI INVIDIOSO PERCHÉ IO SONO BUONO?»
(Is 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20-24.27; Mt 20,1-16)

      Non è facile aver a che fare con il Signore, almeno fino a quando non si riesce ad entrare in confidenza ed in sintonia con Lui. Il profeta Isaia infatti ci mette in guardia a questo proposito, precisando che ciò dipende dal fatto che Dio non ragiona come ragionano gli uomini. È facile rimanere spiazzati di fronte all’agire di Dio, perché Egli non finisce mai di sorprenderci, perché i suoi pensieri ed i suoi giudizi superano di gran lunga i nostri criteri. Noi ci lasciamo guidare dalla legge dello scambio, dal criterio della giustizia, intesa come corrispondenza tra il dare ed il ricevere. Dio invece usa un altro tipo di giustizia, che ha come termine di misura la misericordia, l’amore e la tenerezza per tutte le creature. Noi ci confrontiamo alla pari. Dio agisce alla grande e il suo giudizio pende sempre dalla nostra parte, è sempre favorevole a noi, perchè Egli non dimentica mai che noi siamo “carne”, siamo creature fragili e bisognose, e quindi tiene conto ampiamente dei nostri limiti e dei nostri bisogni. Insieme con il salmista, che ha una straordinaria capacità di intuire com’è fatto Dio, proviamo anche noi a benedire il Signore, lasciandoci stupire dalla sua grandezza: «Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature».

     E Gesù ci vuole parlare della grande bontà del Padre attraverso la sottile, spiazzante parabola dei lavoratori della vigna. L’inizio della parabola è un cliché che Gesù usa ed che è comune a tutte le parabole: “Il regno dei cieli è simile…”. Questo inizio serve a farci capire che Gesù ci sta parlando in termini molto umani e semplici delle realtà celesti, ed in fondo cerca sempre di svelarci il vero volto del Padre suo, ed indirettamente il suo stesso volto. Egli infatti, nel suo agire e nel suo parlare, rispecchia fedelmente la fisionomia del Padre e quindi ci aiuta a conoscerlo più intimamente. La parabola ci presenta una scena che tante volte Gesù ha osservato nelle piazze o alle porte di Cafarnao e degli altri villaggi. La vita di tante contadinipersone ed il loro sostentamento quotidiano dipendeva dalla possibilità di trovare lavoro ogni giorno. Era davvero assai fortunato chi aveva un lavoro assicurato presso un padrone. La maggior parte dovevano ogni giorno recarsi nella piazza nella speranza di essere ingaggiati per quel giorno e possibilmente per qualche periodo di tempo più lungo. La vita di una famiglia era legata al lavoro del capofamiglia. Più giornate di lavoro riusciva ad assicurarsi, maggiore sicurezza e serenità poteva dare alla famiglia.

     Quindi Gesù parte dalla vita quotidiana che si svolge nel villaggio dove lui abita, e la parabola descrive uno scenario che si ripeteva abbastanza di frequente. Solo che ad un tratto il racconto della parabola si discosta da quella che era la prassi comune. Il padrone di una proprietà, che soprattutto in alcuni periodo dell’anno ha bisogno di manodopera, non si limita ad uscire presto la mattina per ingaggiare gli operai di cui ha bisogno, come accade nella vita pratica, ma torna ripetute volte nella piazza e continua ad ingaggiare lavoratori per la sua vigna, addirittura fino a poco prima dell’ultima ora lavorativa, che coincide con il calar del sole. Un agire del genere non è certamente basato sulla legge del mercato, per cui il padrone cerca di sfruttare al massimo il lavoro degli operai. Nella dura lotta per la vita, questo padrone singolare pare che voglia offrire a tutti la possibilità di lavorare e non cessa di dare speranza perfino a chi ormai sembra escluso dal gioco. Ma la sorpresa non finisce qui, perché ad ognuno il padrone assicurava che avrebbe dato “quello che è giusto”. Alla fine della giornata gli operai si presentano per ricevere la ricompensa.

     E qui abbiamo la paradossale conclusione. Intanto il pagamento comincia dagli ultimi, quelli che hanno lavorato meno di tutti, ed a questi, con loro stupore, il padrone dà un denaro. Erano gli ultimi, se ne vanno a casa per primi e ricevono la paga di una giornata. Lo stesso avviene, procedendo sempre in ordine inverso, con gli altri operai. Niente di strano che nella mente dei primi, che hanno sgobbato più degli altri, comincia a balenare l’idea che forse il padrone darà loro di più. Ma restano delusi ed amareggiati, quando, a cominciare dal primo di loro, ricevono un solo denaro. Così fanno rimostranza al padrone, dicendo che non è giusto quello che sta facendo. Essi hanno lavorato duro tutta la giornata ed hanno sopportato il peso della stanchezza e della calura. Perché hanno avuto lo stesso compenso degli ultimi? Chi non darebbe loro ragione? Ma il padrone risponde che non sta loro facendo alcun torto, perché ha dato secondo quanto era stato pattuito, non ha abusato del loro bisogno per dare di meno. E qui rivela il motivo del suo agire. “Non posso dare del mio a chi voglio? Forse ti sto togliendo qualcosa? O sei invidioso del bene capitato agli altri, per il fatto che io sono buono?”.

Ed ecco che Dio sconvolge l’ordine dei valori, affermando che i primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi. Che razza di giustizia è questa? Cosa ci vuole insegnare Gesù con questa parabola? Guardando strettamente al racconto, una prima idea che viene è che Dio non misura in base alla quantità delle cose o del lavoro che facciamo per Lui, ma in base alla qualità dell’impegno, in base al cuore che ci mettiamo. Inoltre ci invita a guardare le cose da una diversa prospettiva, che non è quella che parte da noi, ma quella che parte da Dio. Paolo, ci suggerisce qual’è la sua personale prospettiva: “Per me vivere è Cristo”. A partire da questo punto di vista, tanto più Paolo può fare per Cristo, tanto più è contento. La sua ricompensa è il Signore, è poter lavorare e vivere per Lui. Non sta a confrontarsi con gli altri, guarda solo a Gesù ed è felice nella misura in cui può impegnare la sua vita per Lui. In Dio ogni uomo trova la possibilità di realizzare in pieno la sua personale vocazione, non importa da quanto tempo ha conosciuto il Signore, ma solo il fatto che dal momento che lo ha conosciuto non ha smesso un istante di vivere per Lui. Così il ladrone va in Paradiso!!!

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)

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