(Anno C) Trinità

«GLORIA AL PADRE E AL FIGLIO E ALLO SPIRITO SANTO»
(Pr 8,22-3;1 Sal 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15)

La solennità della Santissima Trinità rappresenta come una pausa di assorta contemplazione dopo le intense celebrazioni del tempo pasquale, un tacito invito a farci riflettere sui misteri della nostra fede, per portarci al mistero fontale di essa, Dio. Però non quel Dio che potrebbe essere il frutto di un idea o di un presentimento o desiderio umano, per quanto nobile ed alto, ma proprio e soltanto quel Dio che lungo i secoli si è rivelato in una straordinaria varietà di forme, fino alla sorprendente e definitiva rivelazione che ha fatto di se stesso in Gesù di Nazaret. Egli ci ha raccontato chi è Dio veramente e cosa ha fatto per potersi manifestare a noi e farci comprendere che Egli è veramente un Dio amante degli uomini, tanto da volersi fare uno di noi, per dirci quanto siamo preziosi ai suoi occhi e come egli vuole renderci partecipi della sua stessa vita, comunicandoci la sua divinità. Mi ha colto di sorpresa la scelta del salmo responsoriale di questa domenica, che è centrato sull’uomo e sulla sua grandezza: «che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?».

Invitandoci a guardare con stupore alla grandezza dell’uomo, opera delle mani di Dio, la Chiesa ci prepara alla scoperta sorprendente del mistero stesso di Dio: se l’uomo è stato creato in maniera tale da colmarci di stupore, quanto più grande e sorprendente è Colui che lo ha creato! Meraviglioso oltre ogni dire. Sì, perchè il linguaggio umano deve tacere di fronte all’indicibile mistero di Dio e limitarsi ad accogliere con stupore quello che Egli ci ha rivelato di se stesso: Egli è l’unico Dio nel quale crediamo, ma che si fa conoscere a noi come Padre, Figlio e Spirito Santo. La ragione umana si può limitare ad enunciare il mistero, che rimane sempre al di là e al di sopra di noi. Fin dall’inizio della Chiesa nascente, questo mistero ha provocato in maniera straordinaria i cristiani e i Padri della Chiesa, che hanno cercato di dire in termini umani quello che la Parola di Dio ci rivela, ma che supera le nostre forze. In che modo la Chiesa ha cercato di dire lungo i secoli il mistero di Dio? Per dirla in parole molto sobrie, noi crediamo in un solo Dio, ma Egli si è manifestato come Padre, Figlio e Spirito Santo, un solo Dio in tre persone, in maniera tale che l’Unità della natura comprendesse la Trinità delle persone e la distinzione delle persone non compromettesse l’Unità di Dio.

La stessa Scrittura per aprirci qualche squarcio si questo mistero non ha trovato di meglio che utilizzare il linguaggio poetico e quello dell’amore. Il libro dei Proverbi fa parlare la Sapienza, realtà che viene da Dio ed è con Dio, che si distingue da Lui e che lo assiste in tutte le opere della sua creazione, descritta come il giocare di una bambina sulla faccia della terra e che si compiace di essere guardata dal padre, consapevole di essere la sua delizia e la sua gioia. Come non vedervi un allusione e una preparazione alla luce folgorante che ci viene dal prologo del Vangelo di Giovanni, quando ci parla del Verbo che era presso Dio ed era Dio e ci dice che tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste? E nel Vangelo di oggi Gesù non ci dice, con una semplicità sconcertante, che tutto quello che il Padre possiede è suo? Ma ci avverte pure che noi non siamo in grado di portare il peso insostenibile di questa rivelazione, per cui ci promette l’assistenza dello Spirito Santo, che ci andrà guidando verso la verità tutta intera, in un cammino senza fine verso la visione di Dio faccia a faccia.

Ma a noi interessa fermare la nostra attenzione su due aspetti particolari della visione cristiana di Dio Tri-Uno, che per semplicità possiamo sintetizzare come relazione e comunione. Anzitutto ci viene detto che il nostro Dio non è chiuso in se stesso, ma è Dio famiglia, Dio comunione di persone, Dio totalmente aperto verso l’altro in una relazione interpersonale libera e gratificante. Dio è dono totale di se stesso senza perdere nulla della sua unicità. Pur affermando che tutto quello che il Padre possiede è suo, e che lo Spirito Santo comunica a noi tutto quello che riceve da Lui, perchè lo condivide con Lui, Gesù disitingue se stesso dal Padre e dallo Spirito Santo, che è “l’altro Consolatore”. Pur nella comunione piena e perfetta delle persone, ognuna di esse mantiene la sua identità e la sua diversità rispetto all’altra. Questo aspetto è stato uno dei più attentamente considerati e studiati dai padri della Chiesa e si rivela anche oggi uno dei frutti più ricchi e promettenti, non solo nella concezione del Dio cristiano, Uno e Trino, ma nella concezione dell’uomo.

Sì, perchè ogni affermazione su Dio si riflette sull’uomo, creato a sua immagine e somiglianza. Cosa vuol dirci questo? Noi siamo creati per la relazione con l’altro, ma in questa relazione nessuna persona deve perdere qualcosa di essenziale nei confronti dell’altro. La distinzione delle persone ci ricorda il valore, la intangibilità della persona umana e la sua unicità. La relazione con l’altro siamo chiamati a viverla in una forma di apertura verso l’altro, in totale rispetto verso l’altro che rimane sempre diverso da noi, ma non tanto da diventare un nemico o qualcuno che deve essere omologato a noi e somigliare a noi. L’altro è e deve continuare ad essere sempre diverso da me, di quella diversità che è ricchezza, dono, promessa e novità. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vivono in una piena e totale armonia che realizza la comunione perfetta, tanto che i tre sono una cosa sola. Così la Chiesa e ogni comunità umana è chiamata a rispecchiare questa comunione, che si realizza a partire dalla diversità di ciascuno delle sue membra. La diversità non è data per dividere, ma per arricchire e rendere più bella e attraente la comunione.

Giuseppe Licciardi (P. Pino)

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