(Anno B) III domenica di Quaresima

«NON FATE DELLA CASA DEL PADRE MIO UN MERCATO»
(Es 20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25)

            Nel bel mezzo del cammino quaresimale la Chiesa ci invita a rileggere e meditare la grandiosa pagina dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo stabilita sulla base delle sue parole di vita e di saggezza, quelle che noi chiamiamo i dieci comandamenti. Ma suona certamente più significativo il nome che troviamo nel libro dell’Esodo, “le parole”, perché esso ci aiuta a comprendere meglio il carattere di dialogo personale, che Dio inteso dare all’Alleanza. Si tratta infatti di un dialogo di amore che intende portare il popolo a diventare sempre più partecipe della santità stessa di Dio, in modo da creare un’intesa talmente trasparente e forte, da far riconoscere questo popolo come il popolo di Dio, il popolo che riflette Dio, il popolo che ama Dio e porta il suo nome in mezzo a tutti i popoli della terra. Il tempo del deserto intendeva essere infatti il tempo della conoscenza tra Dio ed il suo popolo e il tempo dell’innamoramento, per consentire a questo popolo di comprendere di non poter vivere lontano dal suo Dio, che diventava il suo bene, la sua eredità, il suo tutto. Bastano due semplici considerazioni per farci capire meglio il vero senso di queste parole, che non sono da intendere come dei comandamenti, degli obblighi imposti con autorità dall’alto, ma sono anzitutto delle proposte che favoriscono un rapporto vero e profondo con Dio.

            La prima considerazione viene fuori dalla premessa che accompagna le parole. Dio comincia col presentare se stesso: “Io sono il Signore Dio tuo”; e questo tono confidenziale viene rafforzato dalla motivazione che giustifica questo carattere di appartenenza: “Io ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, da una condizione servile”. Questa premessa suona come una dichiarazione di amore, perché Dio fa capire che se ha fatto tutto questo, lo ha fatto perché questo popolo, debole e schiavo, era diventato il popolo prediletto tra tutti i popoli della terra, e Egli aveva fatto di tutto per renderlo libero e farlo diventare il suo popolo. La libertà era la condizione che consentiva a questo popolo di poter dare una risposta che non fosse forzata, ma il frutto di una accettazione consapevole e volontaria, alla pari. Da parte di Dio c’è la dichiarazione con cui Egli apre il suo cuore: “Io sono il tuo Dio”. Così da parte del popolo si attende la risposta: “Io sono il tuo popolo”. Dio ha preso l’iniziativa, perché è Lui che ama per primo e si compromette con il suo popolo, con noi. Ma nello stesso tempo vuol mettere il popolo nella condizione di mantenere quella libertà che Lui gli ha procurato, e mettersi alla pari con il suo Dio così come Egli desidera: “Siate santi, perché Io sono santo”.

            Ed ecco la seconda considerazione, che deriva dal modo con cui il Signore presenta la sua proposta di alleanza, in cui tutti i verbi sono posti al futuro. Il Signore si adatta alla debolezza del suo popolo, sa che non può pretendere di trovarselo già perfetto davanti ai suoi occhi. Per questo gli indica il cammino da seguire. Il fatto che le proposte sono fatte al futuro indica, da una parte, che si tratta di un impegno da accettare in piena libertà, mentre dall’altra parte viene fuori l’esigenza di rinnovare ogni giorno il sì detto dinanzi a Dio, per continuare ad essere fedeli a Lui. Le parole coinvolgono il popolo in tutte le sfere della sua esistenza personale, spirito, anima e corpo, quindi i suoi pensieri, i suoi affetti, le sue azioni, Ma nello stesso tempo riguardano le sue molteplici relazioni, con Dio anzitutto, e quindi con se stesso, con gli altri (a partire dai genitori, dai familiari, dai vicini, fino agli estranei ed ai lontani), con i beni della terra e con la creazione in genere. Dio mostra la via da seguire in modo da essere il suo popolo, la sua dimora, ed Egli il Dio con noi.

           non fate della casa del padre mio un mercato Per gli ebrei il segno visibile più appariscente della presenza e della vicinanza di Dio in mezzo al suo popolo era il Tempio. E Gesù ama il Tempio, anzi, proprio nella pagina del vangelo di Giovanni che viene letta oggi, Gesù usa una espressione che rivela questo suo profondo amore, chiamandolo “la casa del Padre mio”. É la prima volta che Gesù usa un tipo di linguaggio che mai un ebreo avrebbe osato usare. Chiamare Dio Padre in senso collettivo era comprensibile, ma nessuno avrebbe chiamato Dio “padre mio” come fa Gesù. Ed egli lo fa in una situazione che lo mette in forte e visibile contrasto con i sacerdoti del tempio ed i capi del popolo, e proprio in una delle circostanze più solenni della vita del popolo ebreo, la celebrazione della pasqua. Gesù si reca al tempio, come ogni pio israelita, ma vedendo tutti i tavoli dei cambiavalute, e gli animali che venivano venduti per i sacrifici, proprio nell’area del tempio, sente nel suo cuore una grande indignazione, perché vede che gli affari e gli interessi economici hanno preso il sopravvento sul culto di Dio ed il rispetto dovuto alla dimora del Dio vivente. Così reagisce in maniera durissima, facendosi addirittura delle corde e cominciando a cacciare via gli animali e rovesciando i tavoli dei cambiavalute. E gridando dà la ragione del suo gesto: “Non fate della casa del Padre mio un mercato!”.

            I discepoli sono anch’essi sconvolti, ma affiora alla loro mente una parola che fa luce sull’incredibile comportamento di Gesù: “Lo zelo della tua casa mi divora”. Ed ai venditori, e ai sacerdoti, che chiedono con quale autorità fa queste cose e quale prova può dare, Lui dà una risposta misteriosa: “Distruggete questo tempio ed in tre giorno io lo farò risorgere”. Si capisce che solo dopo la risurrezione i discepoli hanno potuto comprendere l’affermazione di Gesù. Il tempio di pietre si avviava ormai verso la sua distruzione. Ma Gesù mostrava il vero e definitivo tempio in cui Dio aveva ormai posto la sua dimora, e che era il suo corpo. Chi vuole incontrare il vero Dio e conoscere il suo volto, non ha da fare altro che andare da Gesù. É Lui il vero tempio in cui il Padre suo, Dio, ha posto la sua dimora, chi vede Lui vede il Padre suo, chi ascolta Lui ascolta il Padre suo. Anzi Egli ha fatto qualcosa di più grande. Ci ha talmente uniti a Lui, da fare di ciascuno di noi il suo tempio, la sua dimora, ma sempre con la condizione di non fare del tempio di Dio che siamo noi un mercato, dove Dio non si vede e non conta più. Ecco perché ci ha dato le sue parole di vita e di santità, perché noi potessimo far risplendere nel suo tempio la gloria della sua presenza.

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)

 

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