Molti si interrogano sui meccanismi della memoria. La psicologia e la psicanalisi ne evidenziano le caratteristiche, la radiodiagnostica applicata alla neurologia ne ricerca nel cervello le origini anatomiche. In questo modo sono state identificate le aree dove risiederebbe la memoria. Come una specie di contenitore nel quale i ricordi verrebbero immagazzinati.
Come tutto il nostro organismo, anche questa aree invecchiano e le cellule si deteriorano. Quando questo accade, molte cose conservate in questo “magazzino” si perdono e se ne vanno chissà dove. È strano perché spesso gli anziani continuano a ricordare eventi accaduti in un lontanissimo passato e dimenticano quello che è successo il giorno prima o addirittura pochi minuti prima. Un mistero della memoria, ma non troppo.
Tutti quanti sperimentiamo una certa tendenza a non ritenere le cose. Non si tratta proprio di dimenticanze vere e proprie, quanto piuttosto di disattenzioni. Nel senso che a volte, se non siamo particolarmente coinvolti, lasciamo scivolare via quello che accade come se non ne fossimo noi i protagonisti. Così ci capita di incontrare persone che abbiamo conosciuto, rimaniamo a scambiare quattro chiacchiere e subito dopo ci chiediamo chi fosse e dove lo avevamo conosciuto. Il nome non lo ricordiamo proprio mai.
Ma stiamo davvero perdendo l’uso della memoria?
È vero che una volta si esercitava di più e addirittura nei primordi della storia si tramandavano oralmente tutti i racconti religiosi ed epici che più tardi sarebbero diventati i nostri libri sacri e le fonti sulle quali si sarebbe scritta la storia dei popoli. Ed è altrettanto vero che fino ad alcuni anni fa già dalla scuola elementare si imparavano molte poesie a memoria: e ancora ce le ricordiamo. Certi professori oggi anziani dimenticano le cose di ogni giorno, di prendere i farmaci se è il caso, ma sono capaci di ricordarsi lunghi passi della Divina Commedia studiata ai tempi del Liceo.

Cosa è che ci fa mantenere nella memoria alcune cose e dimenticarne altre piuttosto facilmente?
Vero è che adesso c’è il “signor Google” che sa tutto e basta chiedere al nostro smartphone per ottenere subito una risposta. Ma è altrettanto vero che alcune cose, alcune persone, alcune vicende le dimentichiamo quasi subito dopo averle vissute. Altre rimangono scolpite nella nostra mente.
Sicuramente la componente intellettiva ha la sua importanza nel meccanismo della memoria, ma è altrettanto vero che l’aspetto emotivo ha un suo peso notevole. Quello che ci piace, che ci appassiona, che ci emoziona, ecco che entra dentro di noi e non se ne va più. Magari sembra essersi nascosta in qualche angolo del cervello, ma basta un piccolo input, uno stimolo, una nota di canzone che già emerge, viene fuori e ancora una volta torna ad emozionarci. Sì, perché quello che ha toccato le corde del nostro cuore e l’ha fatto vibrare, come una mano di musicista, quando torna ad accarezzarci fa suonare di nuovo e ancora e ancora quella bella musica.

Ciò che ricordiamo è ciò che amiamo o abbiamo amato.
Sia una persona, una esperienza, un libro o una canzone: se ci ha fatto emozionare allora non vogliamo lasciarla andare, non vogliamo perderla. E se non possiamo tenerla nella vita che scorre ed ha bisogno sempre di cose nuove, ecco che la custodiamo gelosamente in una parte della nostra mente… del nostro cuore.

Saverio Schirò

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