Per non morire di solitudine

Una riflessione sui rapporti sociali del terzo millennio

Sarebbe bellissimo se ciascuno di noi potesse avere in questo mondo almeno una persona che possiamo toccare totalmente, senza vergognarci; qualcuno al quale potere rivolgersi liberamente e sfogarsi. Qualcuno davanti al quale potere essere completamente trasparenti senza la necessità di nascondersi; qualcuno al quale potere dire: «questi sono i miei sentimenti» e quello, senza giudicarci, ci consola dicendo che va bene così.

Ecco, se avessimo una persona così non moriremmo di solitudine.
Questo relazionarsi comporta, però, entrare nella sfera intima di ciascuno di noi. E quasi nessuno è disposto ad aprire il suo cuore agli altri. Anzi ci hanno insegnato a mostrarci diversi da quello siamo ed a furia di assecondare l’immagine che proponiamo al mondo, non sappiamo neppure noi chi siamo realmente.

Entrare nell’intimo di ciascuno di noi è un rischio che può arrecare sofferenza. Si ha paura di darsi, paura di scoprirsi, paura di non essere accettati; paura di guardare dentro di noi e vedersi per quello che si è. Allora, molto meglio vivere alla superficie di noi stessi e mantenere relazioni senza importanza che non ci legano veramente. Molto meglio parlare di tutto tranne che di noi. Molto meglio rimanere in un campo neutrale.
Risultato? Apatia e noia. E il senso di solitudine aumenta e ci schiaccia.

Non aiuta di certo comunicare attraverso un social network, dove dietro un display la vita vera appare sfocata e priva di realtà. Le relazioni aumentano a dismisura, ma sono solo virtuali e fatti di banali comunicazioni senza corpo né emozione.  Puoi parlare, mostrare immagini, scrivere, ma non sei veramente tu, piuttosto l’immagine di te che vuoi fornire al mondo.

Occorre invece uscire di casa per incontrare altre persone. Immergerci nella realtà, stringerci le mani, toccarci, sentire la presenza viva dell’altro. Abbiamo bisogno di amici veri, concreti con cui condividere sguardi ed emozioni, gioie, dolori, pensieri ed esperienze.
Ma ciò comporta vincere l’inattività e mettersi in gioco e questo comporta dei rischi. Ma, dopotutto per vivere davvero bisogna anche rischiare.

Saverio Schirò

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