Onesimo, da schiavo a fratello

Quando parliamo di schiavitù corriamo il pericolo di pensare che sia una cosa del passato, per fortuna definitivamente sradicata nella nostra società moderna, che riconosce libertà ed uguaglianza a tutti i cittadini. Ma così rischiamo di semplificare le cose, sottovalutando il fatto che oggi nel mondo milioni di esseri umani vivono in condizioni di schiavitù di vario genere, economica, sociale, sessuale, ideologica. Non ci dobbiamo meravigliare nel costatare che ai tempi di Gesù e degli Apostoli, la schiavitù fosse una condizione ben conosciuta e comune nella società. Quanti tra gli schiavi sono diventati cristiani e quanti cristiani, quando si sono convertiti al Vangelo, si trovavano ad avere in casa degli schiavi. Gesù inizia la sua predicazione nella sinagoga di Cafarnao proclamando la liberazione dei prigionieri e l’affrancamento da ogni schiavitù, insieme con l’annuncio della buona novella ai poveri. Gesù non fa dei proclami di carattere politico, anche se le sue parole vengono a sradicare ogni forma di ingiustizia e di oppressione, annunciando la misericordia, il perdono delle offese e l’incredibile verità che Dio è nostro Padre, e che quindi tutti siamo fratelli, grazie a Gesù.

Mentre Paolo si trova in prigione, probabilmente a Cesarea, giunge da lui uno schiavo fuggiasco, che cercava di rifugiarsi in una metropoli dove poteva passare più facilmente inosservato e non essere raggiunto dai soldati e riportato ai padroni. Non sappiamo quale motivo avesse costretto Onesimo (questo era il nome dello schiavo) a fuggire, se si fosse reso colpevole di qualche furto o avesse commesso qualcosa che gli consigliava di fuggire via dal suo padrone. Non sappiamo nemmeno se è per un puro caso che arriva da Paolo oppure nella casa del suo padrone aveva sentito parlare di lui. La cosa non è del tutto improbabile. Fatto sta che Paolo lo accoglie, lo istruisce e si rende conto della apertura di cuore di questo schiavo che gli si affeziona profondamente. Quando ritiene che Onesimo è interiormente pronto, Paolo gli suggerisce che la miglior cosa da fare è quella di ritornare dal suo padrone, a Colossi. Paolo conosce la comunità di Colossi che era stata evangelizzata da Epafra, il quale in quel tempo si trova anche lui in prigione insieme con Paolo. Da Epafra aveva ricevuto tutte le informazioni necessarie su quella comunità ed aveva scoperto che la chiesa di Cristo si riuniva nella casa di un cristiano benestante, un certo Filemone, proprio il padrone da cui Onesimo era scappato via. A questo punto Paolo scrive una lettera di raccomandazione proprio a Filemone, e la consegna ad Onesimo, il quale si reca a Colossi insieme con Tichico, che è latore della famosa lettera ai Colossesi.

Il breve scritto di Paolo è indirizzato a Filemone ed è di una finezza straordinaria. Egli inizia salutando Filemone e chiamandolo suo caro collaboratore, saluta la moglie di lui, la sorella Appia, e Archippo anziano della chiesa, che lui chiama suo compagno d’armi, insieme a tutta la comunità che si raduna nella sua casa. Paolo esordisce rallegrandosi per quello che ha sentito dire a proposito di Filemone, della sua carità, della sua sincera partecipazione all’opera della fede, e di tutto quello che f a a favore dei santi. Quindi entra nel motivo della sua lettera: Onesimo, lo schiavo fuggito via da lui ed ora mandato indietro da Paolo. Paolo, con molto tatto, dice a Filemone che non vuole usare la sua autorità di Apostolo, ma semplicemente chiede a lui di regolarsi in maniera conforme agli insegnamenti che ha ricevuto, venendo alla fede e che ora egli stesso professa. Lo prega a favore di Onesimo, che egli chiama “figlio, che ho generato in catene”. Se prima era stato “un servo inutile”, ora non lo è più, anzi ora è utile (Paolo gioca sul nome dello schiavo che in greco significa “utile”) sia a Paolo sia allo stesso Filemone. E rafforza la sua richiesta con una espressione bellissima: “Te l’ho rimandato, lui, il mio cuore”. Paolo aggiunge che avrebbe voluto trattenerlo con se perchè lo potesse servire mentre era in prigione, ma non voleva fare nulla senza il suo consenso. Non voleva infatti che la scelta fosse fatta per forza, ma fosse un gesto di liberalità spontanea.

Quello che era accaduto forse era un disegno benevolo di Dio, che voleva manifestare la sua bontà ad Onesimo ed anche a Filemone. E qui la grande lezione della breve lettera: “Forse per questo è stato separato da te per un momento, perchè tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto di più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore”.L’apostolo contnua il suo scritto dicendosi fiducioso della sua docilità, nella certezza che avrebbe fatto più di quanto gli chiedeva. Cosa gli chiedeva? di trattarlo come fratello, ma gli suggeriva di ridargli la completa libertà, perchè il titolo di fratello acquistasse tutta la sua verità e pienezza. Non troviamo nella lettera proclami politici di abolizione della schiavitù, ma ci sono i principi che la rendono impraticabile. Immagino che Paolo sorridesse tra di sé, mentre chiudeva la sua lettera chiedendo a Filemone di preparargli un alloggio, perchè sperava di poter essere liberato e di recarsi proprio a Colossi, per trovare motivo di grande gioia e consolazione nell’incontro con la comunità che si riuniva nella sua casa.

Dalla Lettera di S. Paolo a Filemone

Giuseppe Licciardi

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