La forza e le debolezze di Sansone

 

Chi non ha mai sentito parlare della leggendaria  forza di Sansone e dell’inganno della bellissima Dalila?  Si tratta di un’altra storia scritta nella Bibbia, precisamente nel libro dei Giudici, il cui messaggio è quello che la forza e la salvezza vengono solo da Dio. Sansone era un uomo appartenente alla piccola tribù di Dan, a cui Dio aveva dato una forza straordinaria. Il suo nome sembra ricordare Shamash, dio babilonese del sole; la sua donna Dalila, la “luna”, come se si trattasse dell’amore tra i due astri, con il grande e forte sole sconfitto dalla luna al calare della notte.

Gli Israeliti e quindi la tribù di Dan erano minacciati dai Filistei che si erano stabiliti sulla costa meridionale della Palestina. I Filistei erano, per loro, dei nemici terribili  avevano armi e carri da guerra ed erano un tremendo pericolo.
La storia narra che Dio mandò un Angelo a Manoach e a sua moglie, che era sterile, ad annunciare loro la nascita di un figlio, Sansone. Il piccolo Sansone, come riconoscenza della maternità ricevuta, venne consacrato, dai genitori a Dio diventando nazireo, cioè consacrato a Dio fin dal concepimento, egli avrebbe un giorno liberato Israele dall’oppressione dei Filistei: doveva astenersi però, come ogni nazireo, dai cibi impuri, dal bere vino e dal tagliarsi i capelli.  Il Signore, così facendo, gli avrebbe donato la forza necessaria per difendere gli ebrei dai continui attacchi dei nemici FilisteiIl bambino, protetto dal Signore,  cresceva bello e forte. La sua promessa di consacrato a Dio non gli impediva però di avere una donna, perché, tramandare una famiglia per gli Israeliti era l’unica forma di grandezza conosciuta.
Dio era con lui, benevolo, generoso per la sua integrità, e gli donava assieme alla purezza d’animo, anche una forza enorme, ma solo fino al momento in cui egli non disobbedì al Suo comando, quello di tagliare i capelli.
A Sansone piacevano molto le donne e come vedremo, sarà proprio una donna la sua rovina, la causa del suo allontanamento da Dio. Ancora una volta, nella Bibbia, la donna viene vista come causa di peccato e di infedeltà a Dio.
Sansone s’innamorò e volle sposare, contro il parere dei propri genitori,  una ragazza filistea. Essi non  vedevano di buon occhio l’unione del figlio con una donna appartenente al popolo nemico. I Filistei erano politeisti e i familiari di Sansone ritenevano che Sansone, in qualità di Giudice di Israele, dovesse dare l’esempio e non sposare donne appartenenti ad altri popoli che sicuramente lo avrebbero portato ad adorare altre divinità. Ma Sansone non volle sentire ragione e chiese di sposare questa donna. Durante il viaggio venne attaccato da un leone ed egli  lo uccise, a mani nude, dimostrando così la sua forza. Al suo ritorno trovò dentro la  carcassa del leone una colonia di api, ne prese del miele, ne mangiò e poi lo offrì ai genitori.
Durante il banchetto di nozze Sansone sottopose a un indovinello i parenti della sua sposa, per dimostrare così oltre alla forza, anche la propria intelligenza: «Dal divoratore è uscito il cibo e dal forte è uscito il dolce». «Se riuscite a risolvere questo indovinello entro sette giorni, disse, vi regalerò trenta tuniche e trenta vesti; ma se nessuno indovinerà sarete voi a renderne altrettanto a me». Questo enigma arrovellò le menti dei filistei, che dopo essersi scervellati per tre giorni minacciarono la sposa di morte se non convinceva il marito a svelarle l’indovinello.
Ecco che qui entra in gioco l’arte della donna che tutto può con la sua furbizia e con le sue dolci lacrime. La donna cominciò a tormentare Sansone affinché, a prova del suo amore, le svelasse il segreto.  Il settimo giorno Sansone cedette alle lacrime dandole la soluzione. La donna riferì ai Filistei, che seppero, ovviamente risolvere l’enigma: «Che c’è di più dolce del miele? Che c’è di più forte del leone?» Sansone comprese di essere stato ingannato dalla moglie. Allora arrabbiato si recò ad Ascalon, città filistea, dove uccise trenta uomini  prendendo le loro vesti e li diede agli invitati, come aveva promesso. Poi se ne andò infuriato lasciando la sua sposa.
Al suo ritorno, Sansone scoprì che la moglie era stata data, dal padre, in moglie a un altro uomo, perché aveva creduto che la figlia fosse stata ripudiata; gli venne proposto allora di accettare come moglie la sorella minore. Sansone reagì a questo affronto e sentendosi offeso nel proprio onore decide di vendicarsi: catturò trecento volpi, le legò per le code a due a due mettendo tra le code legate una fiaccola accesa. Poi le liberò per i campi dei Filistei, che andarono in fiamme.
I Filistei reagirono uccidendo sia la moglie di Sansone che suo padre.
Sansone si vendicò dell’accaduto e fece una strage nel villaggio filisteo, poi si nascose in giudea. Adirati, i filistei avanzarono in massa contro il popolo d’Israele  attaccando una loro città e chiedendo di consegnargli Sansone. Gli ebrei, vista la sproporzione delle forze in campo, accettarono l’offerta in cambio della pace. Così consegnarono Sansone ai filistei per evitare un inutile spargimento di sangue: subito fu legato con salde funi, ma lui le spezzò, poi prese una mascella d’asino e con essa cominciò a colpire i nemici riuscendo a scappare: uccise così mille uomini. Sansone rimase giudice di Israele per venti anni.
Ma il debole per le donne lo avrebbe ancora una volta condannato: a Gaza, in terra filistea, andò a far visita ad una prostituta. I Filistei saputolo, circondarono la casa in attesa dell’alba e gli tesero un agguato. Ma la forza di Sansone ne ebbe la meglio, anche questa volta.
Infine conobbe Dalila, una donna della valle di Sorek. I filistei compresero che l’unico modo per distruggere Sansone era l’inganno: allora i capi offrirono alla donna mille e cento sicli d’argento affinché lei usasse la propria seduzione,  il proprio fascino per farsi svelare il segreto della sua forza.
Sansone s’innamorò di Dalila e lei approfittò del suo amore per carpirgli il segreto. A ogni loro intima unione Dalila chiedeva a Sansone il modo di come poteva essere legato, ma Sansone la imbrogliava: la prima volta affermò che lo avrebbero reso debole solo sette corde d’arco fresche, la seconda, funi nuove, la terza, tessere le sue sette trecce nell’ordito e  fissarle al pettine del telaio. Ogni volta come per gioco Dalila lo legava, ma Sansone si liberava facilmente dai lacci, facendola inasprire, per il fatto di non avere avuto fiducia in lei. Ma l’amore di Sansone verso Dalila divenne sempre più grande e appassionato e lei, approfittando di questo sentimento, insistette così tanto per conoscere da dove provenisse la sua forza. Sansone, molto innamorato cedette alle sue insistenze rivelandole che la sua forza proveniva dai suoi lunghi capelli, mai tagliati dalla nascita.
La notte Dalila fece addormentare Sansone sulle sue ginocchia, chiamò un uomo e gli fece radere le sette trecce. Poi a gran voce gridò: “ Sansone, i filistei ti attaccano”. Lui si svegliò, andò per spezzare le funi, ma la sua forza era svanita, i capelli erano stati tagliati e il suo voto sciolto fu come un allontanarsi da Dio. I Filistei lo presero, lo imprigionarono e lo accecarono con un tizzone ardente.
Durante la prigionia, Sansone veniva umiliato e sfruttato facendo girare una macina. I capelli intanto gli ricrescevano. I Filistei, durante la celebrazione di una festa in onore del loro dio, Dagon, chiesero di portare Sansone al tempio come buffone di corte. Durante la festa, egli si fece accompagnare da un ragazzo sotto le colonne principali, poi appoggiò le braccia e ad alta voce chiese perdono a Dio per non essere stato un buon Giudice d’Israele, chiese per l’ultima volta la forza, necessaria per distruggere il tempio e far morire i filistei, anche a costo della sua vita. «Muoia Sansone con tutti i Filistei!» Famosa frase che noi tutti conosciamo. Spinse sulle colonne portanti del tempio e l’edificio crollò: morirono tutti, compreso lui: «Ne uccise più con la sua morte di quanti ne aveva uccisi durante la sua vita!» commenta il brano biblico, sottolineando il sacrificio personale per la salvezza della comunità.

Si tratta di un racconto dai forti colori mitologici, vedi le allusioni al ciclo giorno/notte col richiamo al sole e ai suoi raggi (i capelli di Sansone) che bruciano le messi e alla luna (Dalila) che ne spegne il vigore (col taglio dei capelli e dunque privandone la forza); come anche il mito della forza brutale (come l’Ercole dei miti greci). Tuttavia si riconoscono anche alcuni riferimenti storici, come l’epopea dei Filistei, uomini del mare di cui parlano anche i racconti egizi nei loro papiri e soprattutto la condizione del popolo ebraico organizzato politicamente in confederazioni autonome governate da Giudici locali, dunque lontane dall’unione monarchica che solo intorno al 1000 a.C. li riunirà in un popolo unico.
L’intento dello scrittore (deuteronomista) che scrive molti secoli dopo è chiaramente teologico: egli, sfruttando i racconti mitici conosciuti all’epoca ed organizzandoli secondo i propri criteri, vuole sottolineare la condizione del popolo (e di ogni uomo) ogni qualvolta si allontana dalla legge di Jhavé ed insegue le proprie passioni mescolandosi con le popolazioni pagane.
Serafina Stanzione

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