Extracomunitari e pensiero cristiano

Parlando con qualche cattolico praticante sono rimasto un po’ sconcertato dall’atteggiamento xenofobo con cui affrontavano il tema degli extracomunitari presenti in Italia. Fra l’altro mi faceva presente che “se ognuno  stesse a casa sua staremmo meglio”. Naturalmente per casa intendeva dire Stato o Nazione. Lo sconcerto aumentava man mano che ascoltavo disocorsi di tale intransigenza specie considerandone la provenienza.
Naturalmente esistono motivazioni sacrosante sulla gestione dell’immigrazione clandestina,  quando veicola persone che alimentano la criminalità o introduce stili di vita per noi incomprensibili che a volte deturpano l’ambiente urbano e rendono  alcune zone delle nostre città poco ospitali.
Mi pare ovvio che chi viene in Italia deve munirsi di un regolare permesso, cercare un lavoro, rispettare le leggi del nostro paese, i nostri stili di vita e la nostra religione. La Fallaci aveva  molte ragioni, ma mancava di stile e di sensibilità, sparava  nel mucchio e non salvava nessuno. Ma visto che non si manifestava credente possiamo anche capirla.
Per un cattolico è diverso. Il vero cristiano, se è realmente invaso dagli insegnamenti di Cristo, non erige barriere automatiche, non si fa imprigionare dalle forze della paura e non diventa vittima dei luoghi comuni. Un recente Rapporto sugli immigrati redatto dalla Caritas ci dice che in considerazione dell’impatto economico positivo che gli immigrati regolari veicolano con la mano d’opera e l’esecuzione di lavori che nessun europeo ormai è più disposto ad eseguire, bisognerebbe abbandonare i facili luoghi comuni e considerare che: “si tratta di un’opportunità e non di una minaccia al nostro benessere, alla nostra cultura e al nostro senso religioso”.
Questo è il risultato elaborato dalla ricerca effettuata dalla Caritas, composta da persone che non frequentano (solo) gruppi di preghiera o di catechesi,  ma da individui che non si chiedono se chi bussa alle loro porte è un marocchino, un islamico, un ebreo o un barbone e si  “sporcano” le mani  per soccorrere l’indigente e l’affamato.
Forse una certa “teologia alta ed escatologica” ha perso di vista l’uomo e punta dritta al cielo? Forse certi cattolici hanno deciso di combattere una guerra contro l’invasione islamica facendo confusione fra la difesa della nostra identità cristiana e l’intolleranza tout court contro chi professa un’altra religione? Perfino Papa Francesco è molto “inviso” a molti cattolici integralisti (leggi quotidiani come “Libero” e “Il Giornale”) che  hanno fatto propria l’idea che il nemico è l’altro da sé, il non occidentale e quindi colui che non può integrarsi perché diverso.  Capisco le emozioni negative suscitate dall’11 Settembre, dagli attentati di Madrid,  Londra , Bruxelles, Parigi e Nizza, ma questo non cancella anni di integrazione e convivenza.
La schiavitù in America e l’Olocausto in occidente sono facce della stessa medaglia. Sono il frutto di un’idea malata di “superiorità della razza”. In quel caso non c’era neanche  l’idea di difendere la propria religione, anzi all’interno della religione cristiana e grazie ad una falsa interpretazione della bibbia si trovarono i presupposti teologici e sociali  per disprezzare ed eliminare intere generazioni.
Temo però che lo sventolamento e la difesa delle nostre radici cristiani nasconda altro. Il vero motivo andrebbe ricercato nella paura di perdere quello che ci siamo conquistati: il lavoro, la casa, la sicurezza economica e i nostri stili di vita. Paure che, da quanto ci riferisce il Rapporto della Caritas,  appaiono infondate. Certamente bisogna usare la mano pesante nei confronti di chi, ospite nel nostro paese, intraprende la strada dell’illecito (già bastano gli italiani), della malavita e del contrabbando; contro coloro che non  vogliono adeguarsi alle nostre regole o che si permettano di denigrare la nostra religione e i suoi simboli.
Inviterei i cattolici “intransigenti” a non farsi prendere da facili isterismi o  da paure infondate. Questi atteggiamenti difensivi –  che se non controllati possono fare spazio a certe derive – non hanno nulla a che fare con le nostre radici cristiane. “Chi accoglie ognuno di loro accoglie me”, diceva il fondatore della nostra religione.
Per carità, non voglio assolutamente negare e nascondere i rischi che si celano sotto ogni forma di integrazione illimitata e incontrollata di razze, culture, costumi, lingue e religioni diverse. Ma mi piace pensare che  il Dio di Gesù Cristo sia favorevole alla  globalizzazione dei popoli e, se è vero, che non ha nessuna intenzione  di girare lo sguardo di fronte alle necessità delle sue creature – e se è vero  che il termine creature raccoglie in se tutte le razze e tutti i popoli – non possiamo fare a meno di condividere il suo progetto e metterci in atteggiamento di accoglienza (se non proprio di condivisione). Molto probabilmente la maggior parte di noi non ospiterà mai uno di loro, ma quanto meno sforziamoci di rendere possibile l’integrazione di coloro che vivono già sul nostro territorio e anziché brontolare o tifare solo  per il Ministro della Difesa tifiamo anche  per quello delle “Pari Opportunità”.

Giuseppe Compagno

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