Gli amori estivi

Mi chiedevo come mai i ragazzi hanno l’abitudine di farsi un regalo per celebrare il primo mese della loro storia sentimentale. La risposta era talmente ovvia che ho fatto un po’ di fatica per arrivarci. Vuoi vedere che si festeggiano i mesi perché difficilmente arriverebbero a scambiarsi il regalo per l’anniversario? In effetti, a parte qualche esempio raro, gli innamoramenti nascono e si esauriscono nell’arco della stessa stagione. Difficilmente coloro che, a maniche corte o in costume, hanno sognato una storia infinita riescono a riabbracciarsi sotto la soffice e rassicurante morbidezza di una maglia di lana. Il loro amore si è perso fra i flutti discontinui e paralizzanti dei loro intendimenti, del loro disincanto e delle loro promesse.
Quali possono essere i motivi di tale precarietà? Proviamo ad identificarne qualcuno…

Nell’immedesimazione totalizzante, spesso i ragazzi perdono la percezione di sé e si sono talmente identificati con l’amato da perdere il contatto con la realtà coppia. Questo “noi” totalizzante e l’idea che la persona si possa possedere ha rinchiuso i due cuori dentro la cellada loro stessi costruita. L’idealizzazione dell’amato, attribuendogli tutti pregi, sottraendo colpevolmente lo sguardo dai suoi limiti, ha protratto il sogno e lo ha ammantato di certezza. Purtroppo la certezza, molto spesso, ha la capacità di uccidere il desiderio, che per sua natura si alimenta del dubbio e dell’imponderabile. Se questo amore diventa fusione, se questo noi non riemerge dalle acque per dare ossigeno al tu, allora c’è il rischio di andare in dispnea. Ilnoi ha il dovere di riconoscere il tu e dargli il suo spazio, il tu ha bisogno di capire se senza il lui o la lei c’è possibilità di espandersi e di guardare l’orizzonte anche da solo con i propri occhi . Il noi non si potrà mai realizzare se non darà possibilità al tu di esprimersi e di definirsi come altro. Questo per evitare frasi come: “senza di te mi sento perso, mi manca l’aria”, “non posso fare a meno di te”. L’altro deve essere ciò che mi completa e non il mio completamento. Io mi realizzo nel rapporto con l’altro e non nella dipendenza dell’altro.

Altro problema: la gelosia!
Molto spesso la gelosia nasce dai nostri fantasmi, dalla paura di non essere l’unica persona degna di attenzione per l’amata/o. Questa paura ereditata dall’infanzia si riaffaccia ogni qualvolta crediamo di avere trovato l’amore della vita, colui o colei che non avrà occhi se non per noi, che non avrà altro pensiero che non sia rivolto alla nostra persona. Questa presunzione, o pretesa, accende quei meccanismi di difesa che creano l’isolamento, la protezione o addirittura l’esclusione (nei casi limiti) della persona amata da qualsiasi coinvolgimento nelle relazioni sociali. È un tentativo di racchiudere questo amore fra le mura del nostro egoismo, perché in realtà l’altro non si ama ma si vuole possedere. E se al tentativo dell’amante di possedere l’amata attraverso il dominio si fa strada l’accondiscendenza dell’amata che non desidera altro che essere protetta e sottomessa assisteremo all’emersione di un’isola desolata, arida e inaccessibile perfino ai grandi navigatori.Ma allora, direbbe qualcuno, dove la gelosia (che è un tentativo di mettere il sigillo all’esclusività di un rapporto) e la fusione non riescono a garantire lunga vita all’amore è possibile che l’amore stesso venga garantito dalla superficialità e dalla deresponsabilizzazione dei rapporti? Penso proprio di no. Infatti se nel primo caso l’amore muore sotto l’abbraccio soffocante della fusione, nel secondo caso non è ancora nato perché vengono a mancare i requisiti della soggettività che ci contraddistingue come genere umano. Purtroppo assistiamo a forme di aperture che in nome di una presunta libertà uccidono la “soggettività della coppia” e la relegano a una forma di convivenza aperta che non si nutre di quella intimità (la volontà di aprirsi e concedersi ad una persona specifica) che si nega all’estraneo.
Un rapporto, dunque, non si può costruire senza riconoscere la specificità e l’individualità dell’amato/a che lo rende unico e inconfondibile. Ma a questo punto una domanda sorge spontanea: “Ma allora non esiste l’amore eterno?” Il neuropsichiatra – cattolico praticante – Prof. Meluzzi , consulente esperto per alcune trasmissioni dice che: “L’amore eterno è possibile solamente se si è investiti dalla Grazia”. Questo significa abdicare a qualcosa che è fuori da noi? Significa consegnare il nostro futuro all’imperscrutabile? Non essendo un esperto in amore e non potendo abbozzare nessuna ricetta miracolosa da prescrivere agli innamorati posso solamente evidenziare quali sono (secondo me) i meccanismi che alla lunga corrodono l’amore.

Innanzitutto l’immedesimazione, cioè il tentativo di assomigliare a ciò che l’altro desidera che siamo. Significa perdere la propria identità per sacrificarla sull’altare dell’alienazione, e se questo gioco diventa reciproco si assiste ad un incontro mancato perché i due non sono se stessi ma l’immagine riflessa che loro stessi si sono creati.
L’idealizzazione
, che tende a vedere nell’altro solo i pregi, reali o presunti: sappiamo come il mondo, visto sotto l’effetto della passione e dell’idealizzazione dell’amato ci appare bello, felice e solare, ma sappiamo anche che quando la fonte della gioia si sottrae lo stesso mondo ci appare vuoto e insignificante. Lo schema di abbandono appare nella fase dell’innamoramento. Siamo talmente felici del nostro partner che inconsapevolmente si innescano gli incubi della perdita, lo stesso schema che si attiva nei bambini piccoli quando la madre si allontana dal loro campo visivo. La fusione è il tentativo di fare diventare due identità un solo individuo. Stessi pensieri, stessi desideri, stesse abitudini, stessi gusti e stessi hobby. Questa osmosi, tipica del periodo della luna di miele, diventa una gabbia talmente stretta da far emergere, come un vulcano in piena, una grande sete di libertà che come sapete non si concilia mai con gli amori romantici.
Cercare di non cadere in queste trappole significa diventare cinici e calcolatori? No. Significa dare all’amore la connotazione della vita stessa e quindi della sua indefinitezza, della sua variabilità, della sua incertezza, della sua imponderabilità, della sua precarietà, del suo destino racchiuso nel mistero stesso della vita. L’amore sentimentale non ci può dare nessuna certezza, ma ci può regalare l’ebbrezza dell’illusione; ci potrà confortare mentre affrontiamo il sentiero della vita ma non ci potrà salvare dagli assalti dei predoni; ci potrà regalare momenti di gioia ma non potrà esimerci dall’incontro con il dolore; potrà darci la sensazione di essere protetti senza per questo garantirci di non provare il limite della nostra impotenza; può millantare la sua eternità pur sapendo che forse (come diceva il Prof. Meluzzi) dipende tutto dalla Grazia.

Siamo partiti dai ragazzi che si abbracciavano nella spiaggia, ma era di loro che parlavo o degli adulti? Alla loro età è giusto che in questo periodo di sperimentazione verifichino cosa comporta immedesimarsi, identificarsi e fondersi nell’altro/a. Ma nello stesso tempo li invito a non concentrarsi solo sull’innamoratoa. Ognuno di noi, per vivere pienamente ed autenticamente la propria vita, ha bisogno non solo di qualcuno d’amare, ma anche di qualcosa da fare e di qualcuno in cui credere. Agli adulti che vogliono vivere responsabilmente il rapporto a due posso solamente consigliare di non rimanere vittime dei meccanismi di cui prima.

Giuseppe Compagno

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