(Anno A) XV Domenica del tempo ordinario

mano seminatore

 

«IL SEMINATORE USCI’ A SEMINARE»
(Is 55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23)

            L’immagine della pioggia e della neve, che scendono dal cielo per rendere feconda la terra e farle produrre prima i germogli e poi i frutti per dare agli uomini il nutrimento di cui hanno bisogno, è di una efficacia straordinaria, in quanto sta a testimoniare la continua attenzione  provvidenziale di Dio nei confronti del suo popolo. Inoltre essa contiene un messaggio di speranza, perché assicura che l’opera di Dio continua ad esercitare la sua azione efficace senza pausa alcuna, fino a che non raggiunge l’effetto desiderato. Nello stesso tempo però suggerisce con molta forza l’idea che ogni uomo è chiamato a collaborare con lui facendo la sua parte con serietà ed impegno,dissodando ed arando il terreno e curandolo in modo da consentire al seme di realizzare quello che ci aspetta da esso. L’opera di Dio e l’opera dell’uomo sono destinate ad agire in piena e perfetta sinergia per il compimento dell’opera di Dio. Ma la pioggia e la neve sono solo delle immagini che fanno chiaro riferimento alla parola che esce dalla bocca di Dio della cui efficacia o potenza effettiva spesso noi siamo portati a dubitare, perché secondo i nostri criteri ci sembra che tante volte questa parola di Dio si dissolva e rimanga del tutto inefficace. Poiché non dà i risultati che noi ci aspettiamo, siamo subito pronti a concludere che non ci non si è realizzata. Ebbene, per bocca del profeta Isaia, Dio stesso garantisce che la parola che Egli ha mandato non ritorna a Lui fino a quando non è riuscita a realizzare ciò per cui era stata mandata.

            Nonostante ogni fallimento che possiamo segnare nel progetto di Dio, a partire dai calcoli umani, Gesù ci presenta una visione ottimistica nel mistero del Regno dei cieli, che va ben oltre i concreti risultati che sembrano fatti apposta per scoraggiare ogni impegno. Nella parabola del seminatore, che Gesù stesso si prende cura poi di spiegare accuratamente, ci viene presentato un uomo che con entusiasmo si reca al suo lavoro spargendo con larghezza i semi dappertutto, quasi incurante di dove vanno a cadere. Questa eccessiva generosità, che può sembrare addirittura irragionevole, ci dice della incondizionata fiducia che Dio ha nei confronti dell’uomo, pur conoscendo i suoi limiti e le sue debolezze, e pur avendo sempre a che fare con la sua durezza di cuore. Dio non vuole far mancare a nessuno l’opportunità di accogliere il suo invito per poter diventare quella creatura che è presente nel suo cuore. Dio desidera che ogni uomo realizzi appieno il progetto che ha su ciascuno di noi, dandoci ciò di cui abbiamo bisogno per poter realizzare il meglio di noi stessi. Ecco perché non si cura se il suo seme cade in mezzo alla strada, dove viene calpestato o beccato dagli uccelli che lo divorano, togliendogli ogni possibilità di mettere radici e germogliare. L’insensibilità ai valori spirituali e l’aridità del cuore sembrano essere il clima che domina la nostra società dei consumi, presa da quello che si tocca, che si vede, che ti fa comodo, e che ti porta a non fermarti mai sull’essenziale. Si corre, si è impegnati in una miriade di attività, che ti fanno vivere sempre alla superficie di te stesso e ti fanno fuggire dal tuo intimo.

           il seme tra le pietre Il seminatore getta il suo seme anche su terreno sassoso, che ha poca terra i cui affondare le sue radici. Spera che la sua forza vitale possa forare la roccia o trovare spazi fra le pietre, dove poter attecchire e mettere radici. L’ aridità del terreno non lo scoraggia dal suo compito, perché egli pensa che anche lì il seme può essere capace di portare frutto. Pur consapevole che il solo gettare il seme non è sufficiente, il seminatore ci prova lo stesso. Questo seminatore è Gesù che non ha lasciato di spargere la sua parola in ogni ambiente sociale ed in ogni luogo. Ha sparso il seme della sua parola in Galilea, in Giudea, nella Samaria e persino lungo il litorale di Tiro e Sidone abitato per lo più dai pagani. Ha parlato nelle sinagoghe, per le strade, lungo la spiaggie del mare, nelle case e persino nel portico del Tempio. Si è rivolto ai malati ed ai sani, ai poveri ed ai ricchi, ai semplici e ai dotti, ai potenti ed alla gente del popolo, ai sazi e agli affamati. Ha trovato cuori aridi e induriti, più duri dei sassi che stanno nel terreno, ed il Vangelo ci parla dei farisei che pongono continua resistenza alla sua parola  e la rifiutano. Ma ci parla pure di tanti che accorrono numerosi per udire Gesù, che si lasciano affascinare dalla sua parola, che sembrano pronti ad accoglierla, ma il cui entusiasmo dura poco tempo e non è capace di resistere alla prova delle difficoltà della vita. Tanti entusiasmi che si accendono subito e subito si spengono, rimanendo solo un ricordo che presto sbiadisce. Sappiamo pure, però, che tanti cuori si sono lasciati attraversare dalla sua parola di vita e si sono aperti, come Zaccheo il pubblicano che aprì a Lui la sua casa ed il suo cuore.

            La parabola parla ancora di terreno pieno di spine, quindi di per sé fecondo, ma che non lascia spazio sufficiente al seme per poter germogliare giungere a maturazione, perché l’humus vitale viene assorbito tutto dai rovi e dagli sterpi e il grano viene soffocato, privato del suo spazio vitale. Quando il cuore dell’uomo viene abitato da ambizioni, passioni sregolate, risentimenti, odi, desideri di potere, di fama, avidità di ricchezze, e quando l’invidia, la gelosia, i desideri carnali e la ricerca di piacere e di emozioni sempre nuove e diverse o ripetitive vi hanno preso dimora e messo radici profonde in esso, rimane ben poco spazio per i desideri profondi del cuore e dello spirito che fanno fatica ad emergere e prendere spazio. La preghiera opprime e sembra senza senso e non da alcuna particolare emozione o sensazione di piacere, il raccoglimento non si sopporta perché il sottofondo del cuore e pieno di rumori e di distrazioni e fa fuggire da esso. Il proprio ambiente vitale è il chiasso, il rumore e lo stordimento e non si può fare a meno di queste cose per tentare di colmare i desideri profondi del cuore che rimangono inappagati e ti fanno sentire vuoto ed inquieto. Diventa un circolo vizioso da cui è veramente difficile uscire e solo un miracolo della grazia può strappare l’uomo da questi legami che lo soffocano.

            Ma la parabola tende verso un lieto fine, che ci da ragione del perché per il seminatore vale la pena sprecare tutti questi semi. E la ragione sta nel terreno buono che alla fine ricompensa il lavoratore di tutte le perdite, perché riesce a produrre un frutto abbondante e così la gioia del raccolto colma tutta la fatica del lavoro e le perdite subite. Si tratta quindi di una storia a lieto fine, che suggerisce un atteggiamento pieno di ottimismo e di speranza, se pensiamo che Gesù, qui, sta parlando del cuore dell’uomo, in cui lui ripone tanta speranza. La parabole ci aiuta a renderci conto che la vita spirituale e quindi la crescita del regno di Dio in noi,non è qualcosa che si realizza in maniera automatica, ma ha assoluto bisogno della risposta dell’uomo, come il seme ha bisogno del terreno buono che lo accolga e gli consenta di germogliare e di crescere. Ognuno di noi facilmente  può riconoscere come questa parabola ci riguarda da vicino, perché in misura più o meno completa viene a descrivere la nostra situazione. Ci rendiamo conto che nel nostro cuore tutta questa diversità di terreno coesiste nello stesso tempo e che il cammino spirituale esige un lavoro continuo di ascesi e di purificazione che dobbiamo compiere su noi stessi, sull’esigenza di irrigare il terreno quando è arido, di scavare per togliere le pietre che lo rendono infecondo, di non consentire alle erbacce ed ai rovi di mettere radici cercando di strapparle in continuazione tutte le volte che ricompaiono. Lavoro duro ed esigente che però ala fine viene premiato. Con le parole di Gesù possiamo concludere dicendo: “Beati coloro che accolgono la parola di Dio in cuore retto e sincero, perché porteranno frutto, dove il trenta, dove i sessanta, dove il cento per uno”. E beati coloro che intraprenderanno questo viaggio e non si lasceranno scoraggiare e vincere dalla fatica, ma con grande perseveranza porteranno a compimento il loro cammino.

 Padre Pino Licciardi

 

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