(ANNO A) Cristo Re dell’universo

«TUTTO QUELLO CHE AVETE FATTO … L’AVETE FATTO A ME»

            L’anno liturgico si chiude con la celebrazione della Solennitá di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. Ed é davvero interessante che la Chiesa ci presenta la figura del Re nell’immagine del pastore che si prende cura del suo gregge. La regalitá a cui Gesù ama far riferimento si fonda e si esercita nell’amore incondizionato, che si manifesta e si dispiega in tutte le sfaccettature dell’agire del pastore, con cui Dio descrive se stesso nel testo del profeta Ezechiele. Questo speciale pastore fin dalle prime battute si presenta come un pastore in uscita, in cerca delle pecore che si sono smarrite e si lascia trovare sempre in mezzo al suo gregge, per prendersi cura di ogni singola pecora, per portarla al pascolo, per abbeverarla, per curarla se si é ferita, per fasciarla, per farla riposare, per accudirla in tutti i suoi bisogni, per ricondurla all’ovile e metterla al sicuro. Si prenderá cura della debole e della forte, della più fragile e della grassa. L’attivitá di questo pastore é tutto un continuo dono di sé per la vita delle sue pecore, per la loro protezione, per la loro salvaguardia e per il loro benessere totale. Nessuna delle pecore del suo gregge potrá mai lamentarsi di essere stata trascurata, perché in tutte le situazioni si é sempre trovata a fianco il suo pastore.

          pecore-1-750x562  Riprendendo la descrizione, abbiamo l’immagine di un pastore alla ricerca delle sue pecore, in modo particolare nei giorni nuvolosi e di oscuritá, quando é facile non vedersi più accanto le altre pecore,  e quindi perdere la strada e smarrirsi. Questo pastore lo vediamo passare in rassegna le sue pecore, per dire che le tiene tutte presenti, una ad una, e non si dimentica di nessuna di esse, le vuole sentire vicine a sé e vuol far sentire ad esse la sua presenza. Vivendo costantemente in mezzo alle sue pecore, il pastore “porta l’odore delle sue pecore”, ma nello stesso tempo vuole che anche le pecore comincino ad avere l’odore stesso del pastore, che amino stare vicino a lui, che somiglino a lui. Credo che proprio per questo motivo il bellissimo brano del profeta si chiude con un ammonimento molto serio e preciso rivolto al suo gregge, sottolineando che si sta rivolgendo proprio ad esso: “A te, mio gregge!”. Ed avverte che ogni pecora, ogni capra o montone si deve tenere pronto per il giudizio che l’attende. Perché una pecora che non lascia sentire l’odore del suo pastore non può essere riconosciuta come una pecora del suo gregge. Questo scambio deve potersi realizzare. Esso é nell’ordine delle cose. Avviene come una specie di osmosi tra la vita del pastore e quella delle sue pecore.

            Il pastore di cui si parla é proprio Gesù. Egli stesso ha voluto usare per se questa immagine cosí profondamente radicata nella cultura e nella vita del popolo ebreo, tanto da definirsi “il buon pastore”, “il pastore vero”, pronto a dare la sua vita per il bene delle sue pecore. Egli é “in uscita” fin dal principio, fin da quando lascia la gloria del Padre per venire in mezzo a noi uomini, smarriti e dispersi a causa dei loro peccati. Ancora nel grembo materno, deve lasciare la quiete del suo villaggio per andare a Betlemme, dove incontra gli ultimi della societá, i pastori, e i lontani che vengono a cercarlo, come attratti da una voce misteriosa, i Magi, che lo riconoscono. Da Betlemme in Egitto, sempre in uscita, per tornare di nuovo a Nazaret. Lo vediamo poi nel tempio, quasi ad anticipare la sua missione di vero ed autentico interprete della parola di Dio. E quando inizia la sua missione pubblica, allora il suo essere pastore lo porta a cercare i poveri, i malati, i sofferenti, gli esclusi della società, gli stranieri, i peccatori e le prostitute per radunarli e ricondurli all’ovile della misericordia, annunciando loro il vangelo del Regno e sedendo a tavola con loro. I Vangeli lo descrivono sempre in cammino, fino al Calvario, fuori le mura dove consegna la sua vita a Padre. Ma da qui sale risorto e vittorioso sulla morte, per tornare nella gloria del Padre, pur restando tra noi, e mandando i suoi verso i confini del mondo per radunare i figli di Dio dispersi.

            Se il profeta Ezechiele ci delinea la figura autentica del pastore, il Vangelo ci delinea la vera fisionomia delle pecore del suo gregge, che sono chiamate a rispecchiare il modo di essere e di vivere del pastore. Nel giudizio finale che viene descritto, la sorte é segnata dal modo con cui ci si é relazionati con gli altri, in base a quei criteri che hanno ispirato la vita stessa di Gesù, nostro amico, fratello, maestro e giudice. La vita di ogni singola pecora del gregge è passata in rassegna e valutata in base alla misura di accoglienza, di amore, di misericordia, di generosità con cui ognuna di esse si è comportata nei confronti di ogni suo simile che si è venuto a trovare in stato di bisogno. Si comincia dalle cose più piccole e banali di ogni giorno, come il dare un bicchiere d’acqua a chi ha sete, dar da mangiare a chi è affamato, vestire chi è indigente, ospitare chi non ha un tetto dove posare  il capo, fino ad essere pronto a mettere a rischio la propria vita per l’altro. Il criterio di giudizio è dato dall’agire disinteressato ed altruista nei confronti dell’altro, nell’avere fatto il bene non per motivi di interesse personale, ma solo guardando al bisogno dell’altro e lasciandosi ferire il cuore da questo bisogno. O viceversa dall’aver ignorato o rifiutato l’altro.

           Assistenza-malati Il test a cui siamo sottoposti è davvero disarmante e non ammette scusante alcuna. Esso è applicabile indistintamente a tutti, senza distinzione di lingua, razza, colore della pelle o credo religioso, per si pone al di sopra di questi criteri. Non è il colore della pelle o la lingua, o la posizione sociale, o la pratica religiosa in se stessa quello che ti consente di essere giudicato benedetto dal padre e quindi erede del Regno e della beatitudine che non ha fine, oppure fallito per sempre, ma solo l’amore con cui ti sei avvicinato verso l’altro o l’egoismo con cui lo hai rifiutato e ti sei girato dall’altra parte. Ma la sorpresa più grande ed incredibile è che il tuo giudice si identifica con ogni tuo fratello o sorella che tu hai accolto o rigettato. Dio è davvero estremamente coerente con se stesso. Se ci ha fatto a sua immagine e somiglianza è proprio perchè ci invita a riconoscerlo e scoprirlo in ciascuno dei nostri fratelli, dove lui ha impresso la sua ineludibile presenza. Un criterio davvero universale e al di sopra di ogni sospetto. Abbiamo cominciato a portare l’odore del nostro pastore?

Padre Pino (Padre Giuseppe Licciardi)

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