(Anno C) XXII domenica del tempo ordinario

«NON METTERTI AL PRIMO POSTO»
(Sir 3,19-21.30-31; Sal 67; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14)

La scena di cui ci parla il vangelo di oggi avviene di sabato, dopo la celebrazione rituale della sinagoga. Gesù è invitato a pranzo da uno dei capi dei farisei, il che ci dice che Egli non rifiuta di entrare nella casa dei farisei e, a loro volta, alcuni dei capi dei farisei lo guardano con simpatia. Luca nota che gli altri farisei, invitati insieme con lui, stavano ad osservarlo. Niente di strano, perché anch’io avrei guardato verso Gesù con senso di gioiosa curiosità, per l’emozione di poter stare vicino a lui, in un contesto che suole essere molto intimo e familiare. Ma il verbo usato da Luca ci fa capire che lo sguardo dei farisei nasconde una forma di malizia, il desiderio di vedere Gesù in difficoltà.
E siccome Gesù si rende conto di questo, non perde tempo a provocare la loro attenzione, chiedendo loro se di sabato era lecito guarire una persona, cosa che egli fa, guarendo un idropico, e facendo osservare che essi non si fanno problemi, in giorno di sabato, a tirare fuori da un fosso un asino o un bue che vi fossero cascati dentro. Così Lui non se ne fa a guarire una persona.

Con questa imbarazzante premessa, che nel vangelo di oggi viene saltata, segue il racconto di quello che Gesù fa e dice nel corso di questo strano pranzo, dove parla di alcune qualità che si chiedono per partecipare al banchetto del Regno: da una parte l’umiltà, come frutto di una serena valutazione di se stessi; dall’altra la assoluta gratuità dell’invito, che viene fatto non per l’interesse di essere ricambiati, ma per pura benevolenza. Da notare, quindi, come Gesù non tralascia alcuna occasione per dare degli insegnamenti, che non sono dettati da semplice buon gusto o da norme di galateo, ma che hanno di mira la formazione dei discepoli, in vista di prepararsi ad essere accolti nel Regno di Dio. Tutto quello che Gesù insegna infatti non è altro che un invito a guardare a Lui, a seguirlo e ad imitarlo, perché è Lui stesso il Vangelo, ed ogni insegnamento che Gesù impartisce non è che una auto-rivelazione. Gesù parla di se stesso, perché a Lui ogni discepolo è chiamato a somigliare, ed è Lui che deve rispecchiare nella sua vita.

Se gli altri stanno a spiare cosa Gesù fa e dice, anche Gesù da parte sua osserva il comportamento delle persone e non rimane indifferente, ma reagisce subito, mettendo in evidenza quello che è in contrasto col suo modo di vedere, che è quello di Dio. Cos’è che colpisce subito l’attenzione di Gesù in quel banchetto? La tendenza degli invitati a cercare i primi posti, a mettersi in vista, senza interessarsi degli altri. Questa ricerca primeggiare, di scavalcare gli altri, di mettersi in mostra è lo specchio della società, dove ognuno pensa di essere migliore degli altri e di meritare più degli altri. Avviene nella politica, nell’ambiente di lavoro, nello spettacolo, ma anche nella Chiesa. Clero e laicato ragionano con gli stessi criteri di questo mondo, non mettendosi all’ultimo posto, come fa e suggerisce Gesù, ma cercando di apparire, di avere un ruolo privilegiato. Gesù c’insegna a non stare attenti al posto da occupare, ma al servizio semplice da compiere in umiltà e libertà di spirito.

Non siamo noi a dover valutare i nostri meriti o le nostre qualità, ma è Dio stesso colui che assegna a ciascuno il posto giusto. A noi è chiesto semplicemente di essere fedeli amministratori della multiforme grazia che Lui stesso ci ha donato, e che non viene da noi, per cui non c’è posto per pretese, esibizionismi, furberie o sgomitate, come pure per la falsa umiltà o la sterile auto-commiserazione. Il giusto atteggiamento dell’invitato è vivere con un senso di gratitudine per l’invito ricevuto e di gioia per poter partecipare al banchetto, dove non è importante il posto, ma l’essere presente, nella consapevolezza che il padrone di casa ti accoglie e gioisce della tua presenza. Tutti siamo allo stesso modo degli invitati, cui è richiesto che sappiano accogliersi gli uni gli altri con rispetto e sincera condivisione, senza spirito di rivalità o di contesa, senza invidie o gelosie, pronti sempre a rendersi disponibili o mettersi da parte, senza problemi, per il bene degli altri.

Ma anche per chi lo ha invitato Gesù ha riservato un insegnamento, per far comprendere quale deve essere lo spirito di chi invita. Volere o volare quando facciamo qualcosa ci aspettiamo di essere notati, apprezzati, ringraziati. Ci aspettiamo che qualcuno di dica che siamo bravi. Se qualcuno non nota la nostra azione, ci sentiamo trascurati e ci restiamo male. Se diamo qualcosa, anche senza pensarlo esplicitamente, ci aspettiamo di venire ricambiati, o almeno di sentirci dire grazie. Sono dei sentimenti comuni della nostra umanità. Gesù si permette di dare dei suggerimenti per lo meno paradossali, fuori dalla consueta norma di condotta. Il paradosso è un modo molto forte di insegnamento. Spesso i banchetti sono occasioni propizie per concludere degli affari, per ottenere dei favori, per salvaguardare i propri interessi. Gesù al contrario insegna che, quando invitiamo qualcuno, dobbiamo escludere in partenza ogni forma di interesse personale ed ogni aspettativa di ricompensa o di contraccambio. Anzi, dobbiamo preferire proprio quelli che non possono ricambiare l’invito, proprio per sottolineare la assoluta gratuità dell’invito.
Quando facciamo qualcosa di buono, la stessa azione deve essere la nostra prima ricompensa. Tutto questo proprio per somigliare a Colui che ci ama senza aspettarsi di essere riamato e che agisce così solo perché eterna è la sua misericordia. Dio ci ama perché abbiamo bisogno del suo amore, e Gesù è venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori ed invita a far entrare al suo banchetto “poveri, storpi, zoppi e ciechi”, perché la nostra vera ricompensa è il Signore.

Giuseppe Licciardi (p. Pino)

LASCIA UN COMMENTO

Per Favore scrivi il tuo commento
Per favore inserisci il tuo nome