(Anno C) XV domenica del tempo ordinario

«VA’ E ANCHE TU FAI COSÍ»
(Dt 30,10-14; Sal 18; Col 1,15-20; Lc 10,25-37)

Fin dal primo momento in cui Dio ha consegnato la sua legge al popolo d’Israele, ha sempre sottolineato che essa non deve essere intesa come una imposizione autoritaria che piove dall’alto e a cui si deve obbedire sotto minaccia di punizione, ma come la parola di guida sicura che garantisce al popolo la vita e la gioia. L’obiettivo dichiarato da Dio era espresso con queste parole: “perché viva tu e la tua discendenza dopo di te”. Una legge di vita e di saggezza che permette di vivere in pace ed armonia nella convivenza umana e di fronte a Dio. Il primato non va dato alla legge in quanto tale, ma all’amore che si fonda sul rapporto filiale di fiducia nei confronti di Dio e che è fondato sulla libertà: “Se amerai il Signore tuo Dio”. Quindi l’osservanza della legge di Dio è espressione immediata di un rapporto personale di amore sincero e profondo verso Dio, basato sulla libertà. L’altro aspetto, che viene messo in evidenza nella prima lettura odierna, consiste nel fatto che questa legge di Dio non è qualcosa di estraneo all’uomo o di irraggiungibile o di impossibile da comprendere, ma è radicata già nel cuore dell’uomo stesso, e che viene quasi spontaneo trasmettere e comunicare agli altri. Sentiamo come Dio suppone una innata sensibilità e capacità di cogliere il bene, perché Egli ha fatto il cuore dell’uomo aperto ai valori che danno vita.

Ma la percezione dei valori, che diviene spontanea per chi vive a contatto con Dio, non sempre è di facile acquisizione per l’uomo, perché viene oscurata da tanti falsi valori che la deviano e la disorientano. Ecco perché il dottore della legge sente il bisogno di chiedere a Gesù cosa deve fare per avere la vita eterna. Il vangelo precisa che la domanda non parte da un sincero desiderio di conoscenza, ma dalla malevola intenzione di mettere in difficoltà Gesù, cosa che egli intuisce, per cui risponde con una contro domanda. Dimmelo tu stesso, gli dice Gesù, visto che conosci bene la legge. La risposta non si fa attendere, ed è precisa e completa: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». E’ interessante notare come l’amore verso Dio, che viene individuato come il centro vitale per ogni comportamento dell’uomo, non è una realtà che investe solo la sfera emotiva, ma tutto quanto l’uomo è coinvolto nelle sue varie dimensioni: cuore, mente , forze e spirito. L’uomo è chiamato a vivere la sua esistenza in maniera unitaria, con tutto se stesso, non a scompartimenti che si ignorano l’uno con l’altro. Il conoscere deve essere accompagnato dall’operare, e la vita dell’uomo esige una coerenza piena tra tutte le dimensioni della sua esistenza, altrimenti si disperde, si vanifica.

Ed ecco allora come viene fuori la seconda domanda del dottore della legge che vuole sapere chi è il suo prossimo. Gesù risponde, capovolgendo però la domanda e nell’insieme suggerendo l’idea che il conoscere chi è il prossimo non serve a niente e può rimanere una pura e semplice nozione, mentre la vera conoscenza è di carattere esistenziale, deve coinvolgere la vita della persona, altrimenti la cosiddetta “vita eterna” rimane una realtà vaga. Attraverso la sua straordinaria parabola Gesù fa capire che l’essere prossimo è un prezioso atteggiamento del cuore, che ti rende sensibile verso l’altro e ti rende capace di sentire l’altro come parte di te stesso, facendotene condividere i suoi drammi, le sue sofferenze, i suoi bisogni. Dopo il suggestivo racconto in parabola, Gesù chiede infatti: “Chi è stato prossimo per quel disgraziato che giaceva mezzo morto in mezzo alla strada?”. Quindi prossimo può essere ogni uomo, conosciuto o estraneo, che si trova bisognoso della tua presenza, del tuo aiuto, di una tua parola, della tua assistenza, e a quale tu realmente ti avvicini in maniera fraterna e del quale ti prendi cura come di un tuo familiare. Molto interessante la risposta data dal dottore della legge, che coglie l’essenza del farsi prossimo nei confronti dell’altro: “Chi ha avuto compassione di lui”. Una risposta bellissima, tenendo presente soprattutto il fatto che uno degli attributi più conosciuti e invocati di Dio è la sua compassione, la sua inclinazione naturale a piegarsi verso il peccatore, il misero, lo sfiducia, l’abbandonato per fargli sentire in maniera concreta la sua vicinanza e la sua tenerezza. Al termine della lettura possiamo concludere, che è orientato decisamente verso la vita eterna chi è capace di compassione.
Giuseppe Licciardi (Padre Pino)

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