(Anno C) X Domenica del tempo ordinario

«Un grande profeta è sorto tra noi»
(1Re 17,17-24; Sal 29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17)

É vero che Gesù si è lamentato contro i farisei, rimproverandoli per il fatto che essi pretendevano di vedere continuamente dei segni per credere. Ma la loro richiesta non era dettata dal desiderio normale di avere delle ragioni per credere, ma proprio dalla radicale sfiducia ed incredulità che essi avevano nei confronti di Gesù. Essi non erano disposti a credere nonostante tutti i segni che Gesù operava, senza bisogno che glieli chiedessero, ma come espressione naturale della sua profonda compassione per quanti si trovavano nella sofferenza, nello sconforto, o nell’abbandono. Egli aveva una sensibilità così profonda che si immedesimava con ciascuno di loro, e sentiva e faceva sua ogni loro sofferenza. Di fronte ad un ammalato, di fronte ad un escluso dalla società, di fronte al debole, al lontano e persino  al peccatore Gesù non sa resistere e subito si schiera dalla loro parte. Egli infatti è venuto a prendere su si sè le nostre sofferenze e le nostre malattie, ma soprattutto il peccato che sta come alla radice di tutta questa miseria ed infelicità che reclama di essere redenta.

            Anche noi abbiamo bisogno di segni per sentirci confortati ed incoraggiati nel nostro cammino. E tutta la storia del popolo di dio non è altro che un continuo manifestarsi di Dio attraverso segni e prodigi che testimoniavano che Egli era in mezzo al suo popolo. Tanto che con stupore e legittimo senso di orgoglio, gli israeliti si dicevano: “Quale popolo ha un Dio così vicino a sé come è il nostro Dio, con miracoli, prodigi e segni di potenza che Egli fa in nostro favore?”. E la povera vedova di Sarepta di Sidone non era forse rimasta affranta alla morte del suo figlio unico, che era tutta la sua vita? Nella sua povertà aveva ospitato il profeta Elia, in fuga dalla regina Gezabele che lo voleva morto, ed ora si sentiva tradita, abbandonata da Dio ed era risentita contro il profeta, che in quella situazione lei vedeva come un nemico. Ma il profeta, sentendo nel suo cuore il dolore e la profonda amarezza della donna, si limita a chiedere il bambino e lo porta nella sua stanza, pregando con grande confidenza e familiarità Dio, perché restituisca la vita a quel ragazzo. E così Dio ascolta il profeta, che può restituire il figlio alla madre, la quale testimonia chiaramente: «Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore nella tua bocca è verità».

            Un episodio analogo leggiamo nel Vangelo di Luca, che ci racconta come Gesù si trova a passare per un piccolo e quasi sconosciuto villaggio della Galilea, circondato da una folla di gente. Un corteo festoso che si incontra con un altro corteo, anch’esso affollato, ma nel segno del dolore e del lutto. Luca molto sobriamente ci informa che veniva portato alla tomba un morto, figlio unico di una madre vedova, e molta gente del villaggio era con lei. Anche noi, nonostante l’onda dell’indifferenza si faccia sempre più alta, quando si tratta di eventi del genere ci sentiamo toccati da vicino. Lo testimonia la folla che si ritrova in casi di morte di una persona giovane, e tutti i nostri paesi registrano casi del genere. Un corte sta per entrare, l’altro sta per uscire. Ma nel primo corteo c’è Gesù, il quale, al solito, di fronte al dolore disperato della donna non sa resistere. Mentre tutti gli altri piangono insieme con la madre, Gesù si fa avanti mosso da profonda compassione per quella mamma e le dice: °Non piangere!”. Un invito che può sembrare del tutto fuori posto, in quel contesto. Questa donna ha perso l’unica speranza che le rimaneva nella sua vita. Aveva già perso il marito, ora le viene a mancare il figlio, come fa  a non piangere?

            Ma Gesù passa subito all’azione, dando ragione di quella richiesta, Si accosta alla bara e la tocca, incurante delle leggi rituali che non permettono di venire a contatto con un cadavere. Fa fermare i portatori e si rivolge con autorità potenza al ragazzo: “Ragazzo, te lo dico io, alzati”. Ed in quel momento avviene l’incredibile. La folla, colta di sorpresa, tace mentre guarda con stupore il ragazzo che si solleva dalla bara e si mette a sedere, come risvegliato da un sonno profondo, e si mette a parlare, quasi a testimoniare apertamente che egli è veramente vivo. Gesù, col cuore esultante di gioia, prende il ragazzo per mano e lo riconduce alla madre. Si può solo immaginare quello che in quel momento avviene nel cuore di quella povera vedova. Anche se continua a piangere a dirotto, adesso quelle sue lacrime non sono lacrime di dolore e di disperazione, sono lacrime di gioia irrefrenabile. Ed è la gente stessa che da voce all’intensità dell’emozione che tutti stanno vivendo. C’è in tutti la consapevolezza di una misteriosa, efficace e potente presenza di Dio, da far esclamare: «Un grande profeta è sorto tra noi!  Dio ha visitato il suo popolo».

            Ed è Gesù che con le sue parole ed il suo agire consente al popolo di rendersi conto di questo passaggio di Dio, che è portatore di nuova vita e di gioia. Questo segno diventa un segno profetico di quello che sarebbe avvenuto fra non molto tempo, quando, sul Golgota, una povera vedova si trova ai piedi della croce dove hanno crocifisso il suo unico figlio. Nel vedere quella madre affranta, Gesù avrà certamente pensato alla madre sua ed al momento in cui anche lei sarebbe stata privata del Figlio suo. Ridando il figlio alla madre, Gesù lascia un anticipo della sua risurrezione dai morti e lancia un messaggio potente di speranza, che va al di là della morte stessa, che sembra l’invalicabile confine della vita dell’uomo. Gesù viene a dirci che Egli è andato al di là della morte che segna l’ultimo traguardo della vita di ogni uomo, aprendo con la sua croce la porta verso la vita che non ha più fine. Cosicché da quel momento in poi la morte non è più la fine sconsolante della vita dell’uomo, ma diventa il passaggio verso la vita che non ha fine, perché in Gesù Dio ha visitato il suo popolo e non lo abbandona in potere della morte, ma dona la vita eterna a quanti seguono la croce di Cristo.

Giuseppe Licciardi (P. Pino)

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