(Anno B) XX Domenica del tempo Ordinario

«CHI MANGIA DI ME VIVRÁ PER ME»
(Pr 9, 1-6; Sl 33/34; Ef 5, 15-20; Gv 6, 51-58)

C’é un invito costantemente ripetuto in tutte le letture che ci vengono proposte in questa domenica, che viene poi ripreso in forma condensata dal salmo: «Gustate e vedete come é buono il Signore!». Il salmo ha un tono sapienziale e contiene l’instancabile esortazione ad ascoltare i suoi insegnamenti per imparare quello che nel linguaggio biblico é considerato come il vertice della saggezza: il timore del Signore. É inoltre assai interessante come l’apostolo Paolo richiami i fedeli a fare molta attenzione sul loro modo di vivere, in maniera da saper operare le giuste scelte e comportarsi «non da stolti ma da saggi». Ci rendiamo conto come tutte queste espressioni sono l’eco fedele di quanto ci propone la “signora Sapienza”, presentata nella bellissima immagine della padrona di casa che invita al suo speciale e appetitoso banchetto, dove il pane e il vino sono il cibo prelibato ed essenziale che Ella offre e che da la capacitá di acquistare saggezza ed esperienza di vita per non lasciarsi ingannare dalle molteplici offerte che abbagliano ed incantano chi é «inesperto e privo di senno».

Certamente tutti questi insegnamenti sono come un assaggio e una anticipazione dell’insegnamento che Gesú avrebbe dato sul «cibo di vita eterna», donato per saziare la nostra fame e placare la nostra sete di uomini. L’unico vero cibo e l’unica vera bevanda capaci di colmare ogni attesa e desiderio profondo dell’uomo possono venirgli soltanto dall’alto. Ecco perché Gesú afferma chiaramente che il pane che Lui vuole donare é un pane che discende dal cielo ed é un dono particolarmente prezioso che ci viene dal Padre. Ma a questo punto del suo discorso Gesú aggiunge un particolare che mette a disagio i suoi ascoltatori e provoca una forte ribellione: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Il vocabolo che Gesú usa é molto crudo e realistico “la mia carne”; ma esso vuole esprimere con forza come Egli desidera donarsi a noi nella totalitá del suo essere. Certamente il linguaggio é davvero duro e, preso cosí com’é, suona inaccettabile: Gesù afferma che occorre mangiare la sua carne e bere il suo sangue per poter entrare finalmente nella “vita eterna”, una vita, cioè, che supera i limiti del tempo e supera perfino il limite ineluttabile della morte, tanto da dare la risurrezione.

Gesú non é venuto a noi per essere solo un maestro di vita o per darci in se stesso un modello esemplare di comportamento, Egli, Dio fatto uomo, viene a proporci un nuovo tipo di rapporto con Lui, vuole entrare in comunione profonda con noi, tanto da comunicarci la sua stessa vita divina, quella stessa che Egli vive in comunione con il Padre. Il farsi nostro cibo e nostra bevanda, il suo desiderio e il suo proposito di darci “la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere”, traduce in maniera molto profonda e forte quello che Egli ha voluto realizzare con noi uomini: farsi una sola cosa con noi e fare di noi una sola cosa con Lui. A questo punto certamente le nostre parole cominciano a scricchiolare e diventare deboli ed incerte, perché incapaci di esprimere la grandezza incredibile di quello che Gesú propone. Tuttavia siamo chiamati a fare del nostro meglio per ascoltare quello che Egli dice e ripete con tanta insistenza, per darci l’idea della importanza e della serietá delle sue parole. Egli sta parlando molto seriamente. Egli sta mettendo in gioco se stesso, perché proprio questo avviene nel mistero insondabile e vitale dell’Eucaristia, dove Gesú si fa nostro cibo e nostra bevanda, ci dona il suo corpo, la sua carne, da mangiare e il suo sangue da bere, pur mediati dai segni naturali del pane e del vino.

Dobbiamo fare attenzione a non cadere nella trappola dell’ovvio, del giá saputo, per non lasciar passare le sue parole senza dar loro tutto l’ascolto che esigono. Sono convinto che, riascoltando queste parole di Gesú, anche noi cominceremo a sentirci a disagio, perché esse ci interpellano profondamente e ci costringono ad interrogarci sul nostro modo di rapportarci con Gesú e il Padre suo e con il segno del suo dono tatale qual’é l’Eucaristia. Lo ripeto: di fronte a Gesù, non si tratta soltanto di accogliere una sublime dottrina di vita e di spiritualitá e nemmeno di essere messi dinanzi a un modello straordinario da poter imitare o almeno ammirare. No. Gesú vuole vivere con noi, in noi e per noi, e a sua volta ci chiede di vivere con Lui, in Lui e per Lui. In pratica Egli si pone come la nostra ragione di vita. Egli é, e vuole essere di fatto e realmente la nostra vita, la nostra ragione di vivere, agire, pensare ed amare. Niente meno e nient’altro che questo.
Se riascoltiamo le sue parole, il nostro atteggiamento di accomodamento, di leggerezza, di superficialitá, di lasciar correre e di facile compromesso subirá una scossa violenta e salutare, che non possiamo evitare. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui ». Sono io consapevole di questo rapporto fortemente personale che il mistero dell’Eucaristia vuole realizzare tra me e il Signore Gesú? Tante volte ci rendiamo conto di aver ridotto l’Eucaristia a un gesto puramente rituale, quello di “fare la comunione”, o, come spesso diciamo, di “prendere l’Ostia e bere il vino”, e trascuriamo il senso piú vero e profondo: io m’incontro direttamente con il mio amico e Signore. La ritualitá non puó mai sostituire la necessitá del rapporto intimo, vero e personale. Facendo la comunione, non sto ricevendo “qualcosa”, il pane e il vino, o meglio il corpo e il sangue di Gesú, ma sto ricevendo Lui in persona. ‘Lui rimane in me ed io in Lui”, la sua vita entra nella mia vita, e di comunione in comunione, io mi vado trasformando in Lui. Il ricevere costantemente e con le dovute disposizioni interiori l’Eucaristia mi va “riempiendo di Cristo”, ogni giorno un pochino di piú “cristificando”, trasformandomi in Cristo.

Giá l’Apostolo Paolo ce lo aveva detto: noi dobbiamo darci da fare e lavorare “finché in noi si formi il Cristo”. Ed é proprio quello che Gesú vuole realizzare in me, in te e in ogni credente che lo riceve con sinceritá di cuore ed amore, “in spirito e veritá”. Quando mi accosto all’Eucaristia, mi rendo conto di tutto questo? E soprattutto, desidero sinceramente e con tutte le mie forze che in me si vada operando questa trasformazione?
Per aiutarci in questo meraviglioso ed impensabile cammino di fede, Gesú stesso ci ha dato un sugggerimento efficace, ma assai impegnativo. Quando ci ha parlato del suo rapporto con il Padre, Gesú si é espresso in questi termini: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me». Gesú vive in piena comunione di vita con il Padre, ed mantiene questa perfetta unione vivendo per Lui, cioè facendo tutto quello che piace al Padre. Gesú lo proclama apertamentee con grande commozione: “Io voglio che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio tutto quello che Egli mi chiede”. Alla stessa maniera, il credente che accoglie Gesú nella sua vita, che crede in Lui e si nutre di Lui, sente intimamente che ormai la sua vita ha senso e valore solo se viene impegnata per Gesú e per il suo Regno: «così anche colui che mangia me vivrà per me». Vivrá per me. Proprio cosí. Non piú per se stesso o per i suoi scopi personali, ma esclusivamente per Gesú e la sua gloria. Siamo anche noi orientati in questo senso quando riceviamo il corpo e il sangue di Cristo?

D. Giuseppe Licciardi (Padre Pino)

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