(Anno B) XVI domenica del tempo ordinario

«VENITE IN DISPARTE E RIPOSATEVI UN PO’»
(Ger 23, 1-6; Sal 22; Ef 2, 13-18; Mc 6, 30-34)

Gesù e gli apostoli stanno vivendo un momento veramente esaltante ed essi stessi non riescono a capacitarsi di tutto quello che è avvenuto per opera loro. La prima esperienza di missione e di annuncio del nome di Gesù è stata straordinaria: nel suo nome, molte persone, sottomesse al potere devastante e disumano dei demoni, avevano riacquistato la loro libertà interiore e la loro serenità; molti malati, in forza della loro preghiera e della unzione con olio fatta nel nome di Gesù, erano guariti; la loro parola annunciata con la forza dello Spirito, aveva toccato il cuore della gente ed aveva fatto risentire in essa l’eco della voce paterna ed amorevole di Dio. È un momento di ebbrezza che li colma di traboccante entusiasmo e di gioia. Essi tornano da Gesù raccontando con stupore tutto quello che avevano fatto ed insegnato.
Sono così presi che non avvertono la stanchezza e non si preoccupano nemmeno di mangiare e di bere.

L’ebbrezza del successo può diventare una insidia nel cuore dei discepoli (i Dodici), i quali, presi dalla frenesia dell’agire e dall’esaltazione della folla, possono correre il rischio di fermarsi sulla grandiosità dei fatti in se stessi, e a poco a poco finire col pensare che tutto questo sia opera loro, separando l’efficacia della loro azione e della loro predicazione dalla vera e autentica sorgente che è Gesù. Prima che questo possa accadere, Gesù interviene con fermezza e dolcezza: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Gesù conosce il cuore dell’uomo, la sua grandezza e la sua miseria, la sua forza e la sua debolezza, la sua capacità e il suo limite. Egli è molto attento a che i discepoli imparino a distinguere l’ora dell’azione dall’ora del riposo: il tempo del duro e incessante lavoro e il tempo della quiete e della necessaria ricarica; il tempo di immergersi nella folla e il tempo di immergersi nel cuore di Dio. Questo ritmo è salutare e vitale. Come il respiro ha un doppio ritmo, quello dell’espirazione e quello dell’inspirazione; come il cuore ha un doppio ritmo per dare vita alla circolazione del sangue, così la vita dei Dodici, come la vita di ogni uomo, ha bisogno di questo duplice movimento: il ricevere e il dare, l’ascoltare e il parlare, il pregare e l’agire, la contemplazione e la testimonianza.

Quando Gesù chiamò i Dodici e gli altri discepoli, li chiamò “perché stessero con Lui e per mandarli a predicare”. Ma il primo movimento, il punto di partenza è quello di “stare con Lui”, altrimenti non possono essere mandati a parlare e ad operare nel suo nome. Gesù vuole fare presente questa esigenza e per questo chiede ai discepoli di separarsi dalla folla, di prendere le giuste distanze e recuperare lo stare con Lui, l’intimità con Lui. Marco sottolinea il “voi soli”, per ricordare che non possono lasciarsi travolgere dalla folla e dal suo entusiasmo. Devono poter riconcentrare la loro attenzione su Gesù, per potere poi rivolgersi in maniera adeguata e salvifica alla folla. Il tempo dell’intimità non deve essere mai sacrificato a favore dell’azione frenetica e della mania del successo immediato. C’è sempre in agguato il rischio dell’eresia dell’azione, del pensare che quanto più facciamo tanto più sicura è la riuscita della missione. Gesù continua ad essere il Signore e il Maestro, Colui dal quale proviene ogni efficacia del loro agire e del loro predicare.

C’è bisogno del tempo di riposo per recuperare le energie, per orientarle nella giusta direzione e per farle ripartire dalla vera e originaria sorgente che è Gesù. Quando si è fatto questo, allora si può riprendere la missione che è quella di far sentire agli uomini la vicinanza e la presenza premurosa e tenera di Dio nella loro vita. Dio continua ad essere il pastore di queste pecore che vivono continuamente il rischio di sbandarsi.
Accogliendo ancora una volta le persone che accorrono a Lui, Gesù mostra quella compassione materna di Dio che soffre con il popolo che vive l’abbandono dei pastori umani, i quali facilmente si dimenticano della miseria e della sofferenza dei fratelli, soprattutto dei piccoli e dei poveri, e non si prendono cura di loro, pensando soltanto ai propri interessi. Salta subito all’occhio come nei versi finali i discepoli non vengono più nominati e scompaiono quasi dall’orizzonte e tutta l’attenzione è rivolta verso Gesù. Egli infatti torna ad essere il protagonista assoluto, e il ritmo del racconto diventa incalzante: Egli scende dalla barca, vede la grande folla, ne ha compassione, e si mette subito ad insegnare “molte cose”. Questa espressione sintetica ci trasmette l’idea che Gesù proporziona ad ogni persona il suo insegnamento e dona a ciascuno ciò di cui ha bisogno.

Questo modo di comportarsi di Gesù è un altro momento di grande insegnamento per i Dodici e per la Chiesa. Essi vengono educati a mettere da parte ogni forma di protagonismo, perché devono cercare di non oscurare od offuscare l’agire di Dio. Essi devono sapersi mettere da parte per far trasparire Dio. Nel racconto di Marco appare chiaramente come tutta l’opera compiuta dai Dodici ha portato le folle a Gesù, ed è Lui che la gente continua a cercare. Così, seguendo Gesù, essi hanno imparato che nella loro presenza il popolo deve poter scorgere un riflesso della presenza di Dio. Nel loro potere di cacciare i demoni la gente deve poter riconoscere come Dio libera il suo popolo da ogni oppressione e da ogni potere del maligno per instaurare il suo regno di verità, di libertà e di amore. Nel loro avvicinarsi con gentilezza e compassione verso i malati e ungerli con olio, gli afflitti e i sofferenti devono poter esperimentare la compassione e la misericordia di Dio che dà sollievo, consolazione e guarigione ai suoi figli. Nella loro predicazione il popolo di Dio deve poter risentire l’eco fedele e autorevole della parola che istruisce, che corregge, che illumina e guida nei sentieri della vita. Le pecore sperdute senza pastore ritrovano in Gesù il loro pastore. E lungo i secoli, tutte le altre pecore perdute senza pastore devono poter trovare nei discepoli, mandati da Gesù, coloro che “li guidano per il giusto cammino per amore del suo nome”.

Giuseppe Licciardi (padre Pino)

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