(Anno B) XIII Domenica del tempo Ordinario

«NON TEMERE, SOLO ABBI FEDE»
(Sap 1, 13-15/2, 23-24; 2Cor 8, 7.9.13-15; Mc 5, 21-43)

La liturgia della Parola si apre oggi con una ferma e convinta professione di fede riguardo alla Sapienza creatrice di Dio, che é vita e amore, e quindi tutto quello che proviene da Lui é pienamente imbevuto di queste caratteristiche proprie di Dio. Ogni creatura, secondo le sue capacitá, non fa che rispecchiare queste meravigliose e inalienabili qualitá di Dio, e quindi é un riflesso della sua infinita sapienza, bellezza, vita e amore.
Gesú, quale Figlio Unigenito del Padre, lascia trasparire,  in maniera unica, questa potenza di vita che diventa guarigione spirituale e fisica, tanto che la malattia e persino la morte si allontanano di fronte alla sua presenza e al suo volere.

Il racconto evangelico contiene la narrazione intensa e colma di stupore che Marco fa di due prodigi, come testimonianza indimenticabile della sensibilitá e delicatezza umana di Gesú, che comunica la sua potenza di vita in maniera semplice e naturale. Egli é davvero pienamente e perfettamente uomo per la sua capacitá di immedesimarsi nella sofferenza degli altri, per la disponibilitá totale e immediata che é capace di offrire e per la grande libertá di spirito e assoluta gratuitá con cui agisce. Ma Egli é anche pienamente e perfettamente Dio, in quanto agisce con la stessa autoritá e sovrana potenza del Padre suo celeste.

Leggo con vivo interesse il modo con cui inizia la pagina del Vangelo che ci mostra le folle andare alla ricerca di Gesú, come ad esprimere in qualche modo che in Lui hanno trovato quello che da tempo il loro cuore cercava e la loro religiositá aveva a lungo sospirato. Gesú passa all’altra riva del lago ed ecco che subito, attorno a Lui, si fa una grande folla di gente e Gesú, riferisce il Vangelo, «stava lungo il mare». Il verbo usato sembra suggerirci l’idea di una attesa, come se Gesú stesse aspettando qualcuno. Infatti qualcuno si presenta all’appuntamento, addirittura il capo della Sinagoga, Giairo, qualcuno che tutti conoscevano e che anche Gesú conosceva, in quanto frequentava la sinagoga di Cafarnao. Quell’uomo sta vivendo un dramma terribile: la sua figlia dodicenne é in fin di vita ed egli é corso in cerca di Gesù per chiedergli di andare con lui e imporre le mani sulla figlia e guarirla. Giairo arriva spinto dalla fiducia e dalla convinzione che Gesù é in grado di compiere l’impossibile, strappando la sua figlia dal potere della morte. Gesù lo segue subito, senza perder tempo, perché vede l’angoscia stampata sul volto di quell’uomo. Ma anche la folla si mostra sensibile e non si sente abbandonata da Gesú per il fatto che sta andando via, anzi si muove insieme con Lui, con senso di umana solidarietá.

In mezzo alla folla c’é una donna
, la cui sofferenza non puó essere raccontata, perché la sua malattia tocca la sfera intima della persona ed essa é timorosa e piena di vergogna. Ella soffre di perdite continue di sangue e questo, secondo la mentalitá comune del tempo, la rendeva “impura”, e quindi le impediva di stare a contatto con la gente. Ma questa donna sconosciuta sa che non ha bisogno di parlare perché nel suo cuore é sicura che Gesú conosce la sua sofferenza e la puó ugualmente guarire. Cerca solo un contatto sensibile con Lui prendendo un lembo del suo mantello. Ma giá il contatto spirituale era presente ed operante. Il mantello, per la donna, era solo il veicolo della forza di guarigione che si sprigionava da Gesú. Infatti avvenne come la donna aveva creduto nel suo cuore. Un tale gesto, carico di significato, non poteva rimanere nascosto, e Gesú stesso lo vuole mettere subito in evidenza.
Con grande vivacitá Marco ci racconta il particolare. «Chi mi ha toccato?», esclama Gesú. Una domanda davvero fuori posto, con tutta quella folla che si assiepa intorno a lui, toccandolo e spingendolo! Ma Gesú vuole che quella donna esca dall’anonimato, non per mortificarla, ma per esaltare la sua grande fede: é quella fede che ha toccato il cuore di Gesú, non il contatto fisico col suo mantello. Gesú vuole aiutarci a comprendere che Egli é desideroso di un “contatto” diretto con ciascuno di noi, di un rapporto personale che é basato sulla fede viva in Lui. Un contatto superficiale o di massa non é sufficiente, un rapporto casuale non basta da solo a creare una amicizia, un incontro personale con Lui. Gesú non ha paura di incontrare una donna “impura”, perché sa che, venendo a contatto con Lui, quella donna viene purificata e rigenerata. Gesú apprezza questo genere di “contatto intimo” e ne dà espressamente merito alla donna in maniera molto affettuosa e familiare: «Figlia, la tua fede ti ha salvata!», cosí le dice. Figlia! Quella donna é rinata a nuova vita, figlia di Dio, per la fede in Cristo Gesú.

Questo imprevisto intermezzo non é casuale. Esso serva a rafforzare la fiducia nel potere di Gesú, a “caricare” la fede della gente, ma soprattutto del povero Giairo, il quale ne ha davvero bisogno. Infatti in quel momento arriva della gente da casa sua a portare quella notizia che non avrebbe mai voluto sentire: «Tua figlia é morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Questa é l’espressione fredda e ipocrita di una totale mancanza di fede, capace di distruggere ogni speranza nel cuore dell’uomo. La morte infatti é la cosa piú certa per ogni uomo. Ma è proprio questa assolutezza della morte che Gesú viene a smantellare e a rendere relativa, grazie alla fede. Se per l’uomo l’ultima e definitiva parola é la morte, per Dio e per Gesú, e per quanti credono in Lui, l’ultima parola spetta alla vita, perché in Lui c’é la vita.Gesú comprende in quale prova si trova in questo momento il povero Giairo, per questo gli sussurra: «Non temere, soltanto abbi fede». Lo invita a fare un salto di qualitá, al di lá di quello che i suoi orecchi odono e la sua mente pensa. Lo invita a superare ogni paura in forza della fede che ha riposto nella persona di Gesú. E fa di tutto per sostenere la fede di quell’uomo, fino a cacciare malamente tutte le persone che col loro piangere e disperarsi affermano la realtà dura della morte.  Gesú lo mette al riparo nella compagnia di persone fidate, la moglie e i suoi discepoli, e solo con loro entra nella stanza dove giace la fanciulla. Verso di lei Gesú agisce come di fronte a una persona che semplicemente sta dormendo e la risveglia con la sua voce gentile ma forte: «Talitá kum! Bambina mia, alzati!». E la fanciulla si comporta prioprio come una che si risveglia improvvisamente dal sonno: apre gli occhi, si alza e comincia a camminare tranquillamente.

Altro che non stare a infastidire il Maestro! Questa apparente gentilezza é proprio fuori posto con Gesú, il quale vuole essere trattato con assoluta fiducia e confidenza, con la familiaritá del bambini che non esitano a importunare i genitori per fare sentire le loro richieste. Gesú non si infastidisce affatto, anzi si compiace di essere dsiturbato. Magari, con le nostre continue richieste e preghiere non lo lasciassimo un solo istante in pace. Vorrebbe dire che siamo entrati in una familiaritá cosí grande con Lui che ci possiamo permettere di importunarlo.
Il racconto evangelico termina con una nota pratica e molto umana. Tra la malattia grave e la morte, la ragazzina era rimasta digiuna e adesso ha fame. Gesú raccomanda ai genitori di darle da mangiare; la loro gioia ed emozione non deve fare dimenticare che la fanciulla ha fame. Bellissima raccomandazione, valida anche per noi. Abbiamo bisogno di nutrire la nostra vita spirituale costantemente, con la paroladi vita, con l’Eucaristia, con la preghiera e con la comunione fraterna.

D. Giuseppe Licciardi  (P. Pino)

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