(Anno A) Prima domenica di Avvento

«ANCHE VOI TENETEVI PRONTI»
(Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14a; Mt 24,37-44)

Iniziando il nuovo anno liturgico, non posso fare a meno di lasciarmi sorprendere dalla parola di Dio, che getta una luce straordinariamente viva sulla nostra vita di oggi. Non per nulla il salmista più di una volta ci ripete che la parola del Signore è lampada sul nostro cammino. E mi piace lasciarmi coinvolgere dalla visione del profeta Isaia, che vede la città santa di Gerusalemme come il punto di arrivo di tutti i popoli della terra, che finalmente hanno capito la continua, insistente lezione che lungo i secoli Dio non ha mai cessato di impartire, con pazienza e misericordia, senza mai stancarsi. Tutti i popoli si trasmettono l’un l’altro il consolante messaggio e s’incoraggiano a salire sul monte del Signore col vivo desiderio di imparare a conoscere le sue vie e cominciare a percorrere i suoi sentieri. E le vie del Signore sono vie d’ amore e di pace, sono vie di incontro tra i popoli, che getteranno via le armi della guerra, per incontrarsi come fratelli. Questa gioia dell’incontro nel tempio, sul monte del Signore fa capire qual è il progetto di Dio sull’umanità, che viene cantato con esultanza dal salmista che si riferisce ai fratelli e agli amici, augurando pace.

Questa scoperta, però, pur nella sua semplicità e ovvietà, è davvero difficile da compiersi, perchè l’uomo ha dimenticato la voce autentica di Dio, ha disimparato l’arte raffinata dell’ascolto della sua parola. Gesù stesso invita i discepoli a farsi attenti, per diventare capaci di captare i segni che ci vengono dalla vita quotidiana, dagli eventi della storia e dagli insegnamenti degli uomini di Dio. Egli fa riferimento alla grande catasfrofe del diluvio universale, facendo osservare ai suoi discepoli il modo di vivere dell’umanità di quel tempo, che aveva dimenticato la misura trascendente della sua esistenza ed era occupata esclusivamente della dimensione materiale di essa, centrata sui bisogni della sua vita fisica e biologica. Essi infatti «mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito», cioè facevano le cose che tutti fanno, in quanto appartengono alle esigenze della nostra natura biologica. Del senso del loro cammino, della loro vita sulla terra non si rendevano conto, anche se Noè aveva cercato di far loro capire cosa stava per accadere. Non avevano gli occhi per vedere quello che andava oltre il tetto delle loro case. Ecco perchè la catastrofe del diluvio si abbattè su di loro.

Noè aveva avuto la retta visione delle cose, perchè era a contatto con Dio e riusciva a vedere quello che i loro occhi non potevano vedere.  La visione non è pura immaginazione, ma è la capacità di vedere in anticipo quello che Dio ha preparato per i suoi figli, ma che resta ancora nascosto ai loro occhi offuscati. Questo oscuramento è il rischio che lungo i secoli l’umanità corre continuamente. Siamo chiusi, o finiamo per chiuderci, nella dimensione strettamente quotidiana e immediata del nostro vivere, dei nostri bisogni, delle nostre esigenze biologiche, emotive, sentimentali che finiamo col convincerci che la nostra vita è tutta qui. Rischiamo di dimenticare il seme di eternità che è nascosto nel quotidiano. Così immersi nei problemi del momento, non riusciamo più a dare uno sguardo al di là di quella finestra che si apre verso l’eternità. Ma è proprio questo sguardo che ci da la giusta prospettiva di dove siamo, di dove andiamo, di cosa facciamo. Ed è questo sguardo che ci aiuta a comprendere il valore della nostra esistenza.

L’invito molto forte che ci viene dato dalla liturgia d’Avvento è proprio quello di aprire gli occhi, di svegliarci dal sonno, di essere vigilanti, di stare attenti. L’Avvento non è soltanto un periodo particolare del calendario liturgico, ma è anzitutto il richiamo energico ad acquistare un certo atteggiamento interiore di vita, che ci impedisca di cadere nello scontato, nella pigrizia dell’ abitudine, nella ripetizione materiale di gesti e di riti che finiscono col chiudere le porte alla spontaneità, all’inventiva, alla novità, alla fantasia del cuore e dello spirito. Il tenere gli occhi chiusi può trasformarsi facilmente nel compiere le opere delle tenebre, come ci ammonisce crudamente San Paolo, ripetendoci che, se siamo venuti alla fede, abbiamo compiuto una scelta precisa nella nostra vita, che è quella di essere figli della luce e quindi compiere le opere che sono proprie dei figli della luce, al di là di ogni menzogna, impudicizia, litigiosità ed colpevole accidia.

Il discepolo diventa ogni giorno consapevole che l’eternità si va costruendo giorno per giorno con le pietre del nostro vivere quotidiano. L’impegno che poniamo nel tendere a realizzare già ora quell’immagine del regno futuro, dove verità, giustizia, amore e pace sono di casa, diventa fattore di vera crescita umana, qualunque sia il risultato che qui ed oggi riusciamo ad ottenere. Ma è importante che segniamo la direzione del nostro cammino e che non la perdiamo mai di vista. Per quanto grandi siano le tenebre che ci avvolgono, non possiamo cessare di produrre le opere della luce. L’Avvento è il tempo che sottolinea la dimensione della speranza, questa luce che illumina il nostro cammino. Luce che ci appare come una fiammella a volte tenue e tremante, se guardiamo al di fuori, ma che riesce a splendere radiosa dentro di noi, e ci da la forza e il calore della vita.

Padre Pino Licciardi

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