Amare significa, anche, condividere

Tante volte, leggendo la Bibbia e prestandovi una certa attenzione, si percepiscono insegnamenti e verità che stanno sotto i nostri occhi e non sempre ce ne accorgiamo.
Chi non ha mai fatto l’esperienza della generosità della gente povera? Hanno poco e tuttavia lo condividono. I ricchi spesso considerano un tesoro geloso i propri possedimenti e raramente tendono a condividerli con chi non ha (i maligni direbbero che è per questo che sono diventati ricchi!).

La sacra Scrittura ce ne dà testimonianza più volte: la vedova del Vangelo dà tutto quello che ha, i ricchi danno il superfluo (e magari a malincuore). La vedova di Zarepta, del  primo Libro dei Re, divide col forestiero e straniero Elia, quel poco che ha anche a rischio di morire di fame poi.

Questa condivisione dei beni dovrebbe essere la regola per tutti gli uomini, ma soprattutto per i credenti. Sfortunatamente le cronache scandalistiche inchiodano la chiesa Istituzionale (vescovi e preti) in comportamenti tutt’altro che caritatevoli, con la corsa al benessere personale e l’arraffa arraffa. Fa parte della debolezza degli uomini che non risparmia i prelati e gli uomini di Dio. Ma ciò non assolve dalle responsabilità personali.

La chiesa come famiglia di Dio incarnata in un territorio, non può rimanere chiusa nel proprio egoismo. Non si tratta di fare “elemosina”, quando capita, benché questa è espressione della misericordia che Dio ha verso di noi e che noi dovremmo dunque avere verso gli altri, ci vuole di più. Ci vuole una apertura alla condivisione perché ci sia un certo equilibrio economico tra i fratelli della comunità anche se non sono frequentatori abituali della chiesa o addirittura appartenenti ad un’altra religione.

Non ha senso celebrare la Comunione Eucaristica senza realizzare prima la comunione dei beni, dunque. Non possiamo sentirci discepoli di Gesù solo perché eseguiamo pratiche “religiose”, senza l’attenzione costante ai bisogni di coloro che ci stanno attorno.
Per questo è necessaria una carità organizzata. Perché chi è nel bisogno ha l’esigenza di mangiare tutti i giorni e non di tanto in tanto.

La chiesa fisica, in soldoni, la parrocchia, deve essere il centro di raccolta e smistamento dei beni a seconda delle necessità. Esiste una Caritas parrocchiale che riceve delle derrate alimentari dalla diocesi, ma sicuramente non basta.
Bisignerebbe prendere la sana abitudine di portare ogni settimana qualche genere alimentare non deperibile (pasta, latte, conserve, biscotti, detersivi e tutto ciò che può servire in una casa) da ridistribuire alle famiglie bisognose, insieme alle offerte in denaro che possono essere necessarie per certi casi più urgenti.
Non possiamo e non dobbiamo rimanere indifferenti, chiusi nel nostro egoismo, solo così possiamo allinearci alle esigenze che il Vangelo ogni settimana ci propone.

Saverio Schirò  

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